YAHWEH

YAHWEH
 

Yahweh (anche Yahveh) è il dio del popolo ebraico. Questo dio originariamente venne descritto dalla Bibbia come  dio potente e creatore  ma anche legato da un patto agli uomini: severo nel punire le colpe, attento verso i penitenti, viene descritto in diverse fasi sia come un dio locale che come un dio universale.

La Bibbia descrive Yahweh come il vero Dio che ha condotto il popolo ebraico fuori dall'Egitto, fornendolo dei Dieci comandamentiYahweh è un "dio geloso" secondo l'esatta definizione del testo biblico, perché redarguisce gli Ebrei relativamente al culto di divinità di altre nazioni o alla fabbricazione di idoli

L'identità di Yahweh come dio unico e universalistico perché artefice del mondo, da un lato, e come dio nazionale ed etnico, in quanto unico dio cui Israele deve tributare il culto, dall'altro, oscilla tra le due versioni anche in ragione della datazione dei testi biblici e dei diversi contesti.

Così, nella Genesi, il tema della creazione accentua  il carattere universalistico dell'opera di Yahweh: non esistono Ebrei in quella fase in cui Dio dà forma all'informità pristina. Ed i "libri narrativi" tendono ad accentuare il carattere universalistico di Yahweh, almeno nelle vicende relative ad Adamo, Eva, i primi patriarchi. Il quadro di riferimento è dunque più vasto che non il racconto delle vicende del popolo ebraico. Il racconto di Genesi, 1-3 è peraltro vicino alle cosmogonie delle civiltà vicine: non manca una tendenza antropomorfizzante (ad esempio, nel riferimento al riposo di Yahweh al settimo giorno della creazione o nell'ira che manifesta di fronte all'infrazione del berit, ossia del patto tra Dio e il suo popolo) e la descrizione della creazione come imposizione di ordine al caos.

Il patto di Yahweh con il popolo ebraico

Il rapporto tra Yahweh e il popolo ebraico è descritto dai cosiddetti "libri narrativi" della Bibbia come berit, termine che va tradotto "patto" o "alleanza", ma che sta anche per "promessa" e che è reso nella Bibbia dei Settanta come diathèke e nella Vulgata di Girolamo come testamentum. Il racconto biblico può essere considerato il racconto della storia di questa alleanza fra Yahweh e il suo popolo, il quale in più occasioni infrange il patto, incorrendo in punizioni, in calamità che giungono a minacciarne l'esistenza. L'infrazione, nel racconto biblico, è intesa fondamentalmente come abbandono del culto esclusivo di Yahweh, tanto in favore di un sincretismo con le divinità locali della regione di Canaan, quanto in vista di una vera e propria sostituzione nel culto, ad esempio in favore del dio fenicio Baal. Ma anche l'errore nell'espletare l'attività cultuale, pur nel riconoscimento della divinità nazionale, è considerato, nel racconto biblico, foriero di sventure.

Esposizione della legge e racconto storico, nei libri "apodittici" (Esodo, Levitico, Numeri, oltre che Deuteronomio) e in quelli "narrativi" (Giosuè, Giudici, Primo e secondo libro di Samuele, Primo e secondo libro dei Re) della Bibbia, sono intimamente legati, perché nella storia delle venture ebraiche è contenuta anche la consegna della legge. Al di là del valore embrionale (sul piano nomocratico) degli incontri tra Yahweh e i patriarchi, momenti salienti di questa consegna sono ritenuti tradizionalmente l'incontro con Mosè sul monte Sinai  e il ritrovamento di un libro delle leggi nel Tempio di Salomone ai tempi di Giosia  libro che si suppone corrisponda al Deuteronomio.

I momenti salienti del berit

È a questo "dio geloso" che vengono indirizzate le speranze dei profeti, sia in direzione del perdono che della catastrofe, e il lirismo dei Salmi. La "nomocrazia" dei "libri apodittici" fa riferimento al volere di Yahweh sia per quanto riguarda l'aspetto prettamente religioso che per l'aspetto etico-morale e sociale della vita ebraica. Inizialmente, però, i personaggi biblici delle origini, che, come è ovvio, non hanno a disposizione "il Libro", volgono a Yahweh le loro preghiere per ottenerne un'indicazione o un premio.

Nel racconto biblico, pregano anche i patriarchi e i re. I Salmi stessi, in grossa parte, sono preghiere.

"I racconti biblici fondano il sacrificio cruento come corretto ed efficace mezzo di comunicazione fra la sfera umana e la divina" La predilezione di Yahweh per il sacrificio cruento di animali è attestata in Genesi. Noè offre animali in sacrificio non appena scampa al diluvio ed è a quel punto che Yahweh gli detta le regole per consumare gli animali avendo cura prima di scolarne il sangue

Come detto, l'errore nella pratica cultuale compromette questa comunicazione tra uomo e dio. I peccati dei figli di Eli o quelli di Sau si configurano come difetti cultuali, che denunciano, in effetti, poco rispetto nei confronti di Yahweh.

La tipologia del sacrificio corretto è descritta nei "libri apodittici": possono essere sacrificati a Yahweh bovini, caprini, ovini, volatili. I tipi fondamentali del sacrificio (e a questo schema i testi biblici sono sostanzialmente fedeli) sono:

  • עלה, con nikud עֹלָה, ('olah, "salire, salire a", le ceneri dell'animale "salgono" verso l'alto), tradotto come olocausto(ascende in fumo), nella torah è il primo sacrificio menzionato per nome: la vittima viene sgozzata dall'offerente (che dev'essere un sacerdote, nel caso di volatile) e bruciata totalmente; nel caso d'un quadrupede la pelle viene risparmiata; l'offerta spetta interamente alla divinità.
  • zebaḥ ṡelamim - sacrificio di comunione o "pacifico": la vittima viene sgozzata come per l'olocausto, ma fatta a pezzi; le parti grasse, le viscere, fegato e reni vengono offerte alla divinità; il resto viene diviso tra il sacerdote e l'offerente, che lo consuma in un pasto cultuale con i familiari.
  • sacrifici espiatori: all'offerente non è destinata alcuna parte dell'offerta, che va ai sacerdoti o bruciato fuori del santuario. Sono distinguibili in:
    • ḥaṭṭa't - "sacrificio del peccato": serve ad espiare un grave peccato (tanto del Gran Sacerdote quanto della comunità) e comporta una articolata procedura di manipolazione del sangue dell'animale.
    • 'aṣam - "sacrificio di riparazione": è un pagamento al sacerdote o alla parte lesa di una somma pari al contenzioso di cui si ha colpa, maggiorata di un quinto.
  • Analogo ai sacrifici espiatori è il rito del capro espiatorio.

Assai peculiare risulta poi il sacrificio officiato per la Pasqua. Oltre ai sacrifici cruenti, venivano offerti vegetali, pani non lievitati, incenso.

La Bibbia, in genere, condanna i sacrifici umani La richiesta che, però, Yahweh fa ad Abramo di offrire in olocausto Isacco sottolinea l'obbligatorietà del dettato divino in tutti i casi. Il racconto del sacrificio della figlia di Iefte non presenta condanne esplicite.

Una pratica spesso descritta nella Bibbia è il ḥerem ("anatema") il popolo combattente votava alla distruzione il nemico e ciò valeva tanto per le persone quanto per i beni (inclusi gli animali). È evidente che questa pratica entrava in qualche modo in conflitto con quella sacrificale, in quanto gli animali catturati al nemico e distrutti per il ḥerem non potevano essere sacrificati a Yahweh.

Le pratiche cultuali, eccetto che nel caso dei patriarchi (che le mettevano in pratica in proprio, in qualità di capifamiglia), erano coordinate dal clero. Sui sacerdoti abbiamo informazioni soprattutto dal Levitico (libro che, nella tradizione greca prende il nome dalla tribù di Levi). Al tempo dei patriarchi, gli Ebrei non sono ancora qualificati come "popolo" ed è per questo che, nel Genesi, non si parla di una "casta funzionale": si menzionano invece sacerdoti di altre nazioni, Egizi o Cananei, o il misterioso re di Salem, il sacerdote di El Elyon Melchisedec.

I Leviti sono descritti, nel testo biblico, come una tribù senza territorio: "il loro territorio [...] è appunto il servizio sacerdotale, dal quale traggono il proprio sostentamento" La presenza della radice mlk ("re") nel nome di diversi sacerdoti (e lo stesso vale per Melchisedec) ha fatto pensare ad un legame speciale fra l'istituto sacerdotale e quello monarchico.

Se l'ipotesi di una redazione dei testi canonici in età post-esilica è valida, è possibile leggere molti dei passi biblici relativi ai conflitti interni alla casta sacerdotale in funzione delle rivalità che si svilupparono al rientro (538 a.C.) dall'esilio babilonese, deciso e messo in opera da Nabucodonosor II nel 587 a.C. Il sacerdozio degli esiliati si reputava discendente di Sadoq, il sacerdote che nel Primo libro dei Re (2.35) prende il posto di Abiatar. Il sacerdozio palatino, invece, quello che avevo seguito le alterne sorti della monarchia "suddita" dei Babilonesi, rivendicava una discendenza da Aronne. La vittoria dovette essere dei sadociti: come tali vengono identificati i sommi sacerdoti del Secondo Tempio. In questa luce potrebbe spiegarsi il racconto del peccato di Aronne  assimilabile ai vitelli d'oro che Geroboamo porrà a Bethel e Dan

La maggioranza dei biblisti è convinta che "la competenza specifica dei sacerdoti ebraici descritti dalla Bibbia non è tanto il sacrificio quanto la divinazione Si è già detto del fatto che, nel Genesi, i patriarchi gestiscono in proprio il sacrificio, anche in assenza di sacerdoti

Per la divinazione, i sacerdoti si servivano di oggetti conservati in un pettorale dell'efod: tale cleromanzia si svolgeva come domanda di fronte a due alternative. All'una e all'altra alternativa erano associati degli oggetti, detti urim e tummim. Questa forma di divinazione è già scomparsa nelle narrazioni bibliche che si riferiscono ai tempi di Davide e l'interrogazione della volontà divina passa interamente ai profeti

La funzione dei sacerdoti in epoca arcaica è, dunque, di difficile interpretazione. Altrettanto difficile risulta comprendere il rapporto fra i sacerdoti e la Torah, che in alcuni passi è intesa non tanto come testo sacro, ma piuttosto come "istruzione", "insegnamento" e in certi passi addirittura come "pratica divinatoria" (anche l'etimologia del termine indirizza verso questa conclusione)

I santuari

 
Iconografia della giara di Kuntillet Ajrud, con tre figure antropomorfiche e l'iscrizione "Yahweh [...] e la sua asherah"

Mentre i testi apodittici identificano il luogo santo con la sola Arca dell'Alleanza, quelli storici, dalla Genesi in poi, parlano di santuari veri e propri. Il termine bet (ב, "casa") indicava l'area sacra piuttosto che il sacello in quanto costruzione, mentre sono quasi assenti riferimenti a simulacri o rappresentazioni figurative, se non in relazione a santuari non israeliti. Nella Bibbia si parla poi spesso di stele (maṣṣebot). La bamah ("alto luogo") è talvolta connotata negativamente. Si trattava, secondo Vaughan di un imponente altare monumentale, ma, al di là di questa interpretazione, il contesto resta oscuro. Quanto alla 'asherah, poteva trattarsi di un oggetto ligneo, dato che in molti punti della Bibbia si dice che viene bruciato.

Per quanto vi sia nella Bibbia in generale abbondanza di riferimenti ai santuari, ogni libro ha il suo "sistema" e connota con autonomia l'uno o l'altro positivamente o negativamente, così come ne giudica l'autorevolezza e l'antichità. Così, da una parte, il mito legato al sogno di Giacobbe e alla costruzione dell'altare (in quel luogo che Giacobbe chiamerà El-Bethel, "il dio di Bethel") è assolutamente positivo, in quanto fondante l'idea stessa di santuario ebraico. Ma già quando di Bethel si parla in relazione alla coppia di santuari di Geroboamo (Dan e, appunto, Bethel) lo si fa in modo negativo mentre in altri punti della Bibbia i giudizi sono discordanti. Per Dan, invece, il Libro dei Giudiciconferma la condanna, legando il santuario ad un ephod d'argento rubato e rifuso.

Complessivamente, solo due sembrano i luoghi assolutamente corretti per il culto: l'Arca stessa e il tempio fatto costruire da Salomone. È poi significativo che la costruzione del tempio suggelli il passaggio da un'epoca turbolenta (segnata dall'esodo, dalla conquista della terra, dal governo dei Giudici) ad una più stabile e pacifica. Il senso di questo passaggio è rafforzato dal fatto che a costruire il tempio non sia Davide ma il figlio Salomone (šalom, "pace").

È stato ipotizzato che la quasi assenza di riferimenti a riti funebri nella Bibbia possa essere dovuta ad una presa di distanza da una tradizione religiosa in cui aveva invece forte peso il culto dei morti (particolarmente dei re). I libri apodittici di fatto non prescrivono alcunché intorno ai riti di sepoltura. Pure, esiste un immaginario biblico relativo alla morte, così come si può ricavarlo dai racconti di funerali di patriarchi e re o dai Salmi (in cui abbondano i riferimenti all'oltretomba). Secondo Brichto (1973), i riti funebri degli antichi Ebrei si fondavano sul rapporto tra possesso della terra da parte dei discendenti e memoria che costoro hanno del defunto. La terra garantisce la continuità del sangue: la memoria dei discendenti garantisce attraverso i riti la sorte del defunto. Mancanza di discendenti e conseguente cessazione dei riti, ma anche lo sradicamento dei gruppi familiari, determinano un peggioramento della condizione del defunto.

Resta comunque vero, come afferma Podella (1987), che il panorama che dell'aldilà offre la Bibbia è il meno ricco tra quelli delle altre culture del Vicino Oriente antico. Il mondo dell'aldilà è indicato con il termine še'ol, un luogo oscuro, una sorta di prigione sotterranea. In certi casi, certi simbolismi si appoggiano sulla personificazione della morte, come nota Tromp (1969). A dispetto dell'importanza dei riti funebri, non si evince l'esistenza di una "ideologia della ricompensa": non c'è insomma un rapporto esplicito tra condotta terrena e sorte nell'oltretomba.

Yahweh e la monarchia

Nel corso della storia dei due regni, in rari momenti, il culto di Yahweh godette del favore dei monarchi, con tentativi di riforma in direzione yahwista, anche se sempre su incitazione di figure estranee alla monarchia, in particolare dei profeti. Tre sono gli episodi più significativi, riferibili ai seguenti re:

Il nome in questa forma "Yahweh" (e altre) rappresenta una moderna versione accademica dell'ebraico biblico יהוה, parola composta da quattro lettere (yod, he, waw, he, in qualche modo corrispondenti alle lettere dell'alfabeto latino YHWH) e perciò detta "tetragramma". La lingua ebraica (a tutt'oggi) è dotata di lettere dal valore consonantico, mentre la vocalizzazione (variabile e importante ai fini del significato delle parole) è indicata ortograficamente attraverso altri segni diacritici, notazioni vocaliche molto più tarde delle consonanti, perché adottate dai Masoreti intorno alla seconda metà del I millennio d.C. Mentre è indiscusso che il nome del dio ebraico è indicato nella Bibbia con le quattro lettere summenzionate, resta incerta la sua pronuncia e oggetto di dibattito sia tra gli studiosi, sia tra i fedeli delle diverse confessioni che fanno riferimento al "dio di Abramo".

La ricostruzione del culto a Yahweh e di questa divinità non può non partire dal testo biblico. Gli studi sono stati spesso latori di una "riduzione", sensibile alle istanze di una religiosità ormai fortemente connotata in termini yahwisti, con l'accentuazione di un monoteismo che neppure la stessa Bibbia sembra provare. È al contrario nell'ottica della sconfessione del patto in favore di altre divinità (come Astarte, Baal o Asherah) o l'adozione da parte del popolo ebreo di pratiche ritenute "negative" dalla religione codificata posteriormente, come la necromanzia, che va letto il ribadirsi costante del berit (cioè, l'alleanza tra Yahweh e il suo popolo) a fronte di un rapporto tanto tormentato

Un altro aspetto di questa riduzione da parte della critica consiste nell'appiattimento della fede ebraica nei termini di un quadro unitario che scritti così eterogenei come quelli biblici non possono offrire. Se è impossibile sperare di ricostruire le caratteristiche storiche del culto dei patriarchi (e anzi nella loro storicità "nemmeno gli studiosi più tradizionalisti credono più", è almeno possibile rievocare quelle dell'età monarchica (1000 a.C. circa). Oltre al dato del racconto biblico, la figura di Yahweh e il suo rapporto con gli Ebrei va rivisto alla luce di nuovi dati archeologici e epigrafici, anche relativamente alla datazione dei testi biblici.