Il Cristianesimo fu fondato nel primo secolo dai discepoli di Gesù di Nazaret, che credevano fosse il Cristo, come gli apostoli,
e persone che non lo hanno mai incontrato ma sono stati influenzati dai suoi insegnamenti come gli evangelisti Marco e Luca,
o che hanno affermato di aver avuto rivelazioni mistiche della sua natura divina, come Paolo di Tarso, che favorì la fondazione di comunità cristiane, o "chiese", dopo la sua conversione.
Il Cristianesimo si diffuse inizialmente, da Gerusalemme, in tutto il Vicino Oriente. Nel quarto secolo fu adottato come
religione di Stato dall'Armenia nel 301, in Etiopia nel 325 e inGeorgia nel 337, e infine dall'Impero Romano nel 380.
Si diffuse in tutta Europa nel Medioevo e continuò ad espandersi nel mondo con le grandi scoperte dal Rinascimento in
poi diventando la maggiore religione al mondo. Durante la sua storia, il Cristianesimo ha attraversato persecuzioni,
scismi e dispute teologiche che hanno sancito la nascita di diverse chiese distinte. Le maggiori divisioni principali del
Cristianesimo sono il Cattolicesimo, l'Ortodossia orientale e il Protestantesimo.Si è soliti distinguere convenzionalmente
quattro fasi della storia del Cristianesimo, corrispondenti a quelle della civiltà occidentale (pur tenendo conto dei
limiti di tale periodizzazione: per esempio, le Chiese dell'Europa Orientale non hanno conosciuto quel fenomeno che in
Occidente passa sotto il nome di Medioevo):epoca antica (I-VIII secolo): dalla nascita, con Gesù,
fino all'anno 1000
epoca medievale (VIII-XIV secolo): dalla riforma gregoriana fino alla formazione delle monarchie nazionali
nel Trecento
(soprattutto Francia e Spagna); inizio di rottura col Medioevo è la lotta tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia
Filippo il Bello;
epoca moderna: è l'epoca della nascita degli Stati nazionali, dei grandi Concili del XV e XVI
secolo, della rottura dell'unità religiosa dell'Europa Occidentale, con la nascita del
movimento luterano; il periodo termina con la rivoluzione francese (XIV-XVIII secolo);
epoca contemporanea (XIX-XXI secolo): dalla Rivoluzione Francese ai nostri giorni.Dato che ogni re degli ebrei
era "unto del Signore", cioè Messia, cioè Cristo (tale titolo infatti era stato di Davide, Salomone e di tutti i re successivi),
storicamente il Cristianesimonasce dal messianismo ebraico del I secolo, ovvero dall'attesa della liberazione nazional-
religiosa annunciata nelle profezie contenute nella Torah(corrispondente al Pentateuco nel canone biblico cristiano),
resa spasmodica dal senso di imminenza che si era sviluppato all'epoca della dominazione romana.
Di qui le prime persecuzioni da parte delle autorità imperiali, che ritenevano i cristiani sobillatori dell'ordine costituito e non propugnatori di una particolare fede religiosa.
Eusebio di Cesarea, nella sua Storia ecclesiastica (III 20,1-2), racconta:
« Della famiglia del Signore rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detto fratello suo secondo la carne (di Gesù,n.d.a), i quali furono denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide. L'evocatus li condusse davanti aDomiziano Cesare, poiché anch'egli, come Erode, temeva la venuta del Messia... »A partire dai primi tempi dell'impero romano, nel primo e II secolo, gli intellettuali pagani avevanoorganizzato e unificato tutto il pensiero sviluppatosi nella vasta area del Mediterraneo orientale soggettaa Roma, anche se prevalentemente ellenofona dando vita a una filosofia sincreticaIl Cristianesmo emerse dal Giudaismo nel I secolo. I cristiani assunsero dal Giudaismo le sue Sacre Scritture, dottrine fondamentali come il monoteismo, la fede in un Messia o Cristo, forme del culto (incluso il sacerdozio alla maniera di Melchisedec),concetti di luoghi e tempi sacri, l'idea che il culto debba essere modellato secondo il modello celeste,l'uso dei Salmi nelle preghiere comuni. Il libro degli Atti degli Apostoli dice che i primi ad essere chiamati "cristiani" furono i discepoli di Gesù che si radunavano nella città diAntiochia e che vi si rifugiarono dopo leprime persecuzioni in Palestina, probabilmente pochi anni dopo la morte di Gesù.Inizialmente il messaggio di Gesù aveva attecchito fra i poveri d'Israele. Ma non furono pochi i romani diclassi elevate, come Paolo di Tarso ebreo (fondamentalista fariseo) con cittadinanza romana, che sionvertirono alla nuova religione. Con la predicazione di San Paolo apostolo si formarono, quindi, anchecomunità di "gentili", cioè di persone di origine non ebraica, prevalentemente di cultura greca e in talunicasi anche con incarichi nell'amministrazione romana. I primi cristiani, pertanto, non erano solo poveri oemarginati: fra di essi ve n'era un certo numero che si erano convertiti al cristianesimo perché insoddisfattidei vari culti che si erano andati diffondendo nel mondo romano e della politica imperiale di sostegno nei confronti del sincretismo religiosoNel II secolo le chiese giudeo-cristiane (quelle vicine all'ebraismo) vennero progressivamente estromesse dall'ebraismo che stava riorganizzando le propriestrutture e basi religiose dopo la crisi della distruzione del Tempio del 70 d.C.,mentre le chiese dei gentili continuarono ad espandersi. Gli storici indicanocol termine "Grande Chiesa" l'insieme delle comunità derivate dai variapostoli (sia quelli diGerusalemme che quelli legati a Paolo di Tarso)che più avanti confluirono nella Chiesa cattolica e ortodossa del primomillennio cristiano, per distinguerle dai gruppi marginali di ispirazionecristiana che elaborano particolari dottrine che non saranno accettatedalla maggioranza, come gli ebioniti e gli gnostici o l'eresia di Marcione.La diffusione del Cristianesimo nel II e III secolo si può collocare all'interno di una più vasta diffusione nell'Impero Romano di altre religioni originarie della parte orientale dell'imperoquali ad esempio i culti di Iside o di Mithra. A differenza delle altre, però, l'organizzazione sacerdotalecristiana fu molto capillare e si occupò dell'assistenza agli emarginati e dell'insegnamento.Il pensiero cristiano era sempre stato "controcorrente", in netta opposizione ai valori tradizionalidiffusi nell'Impero romano. In seguito ai tentativi anche violenti di sradicarlo, la Chiesa avevatrovato modo di adattarsi alla convivenza con la realtà terrena. Così, sempre più volentieri, anchefunzionari imperiali e gli stessi militari, già attratti da vari culti monoteisti orientali, poterono professareil Cristianesimo e affidarsi alla nuova organizzazione. Nel II secolo, quindi, le comunità cristiane si eranoormai diffuse in tutte le città dell'Impero, ampiamente tollerate dalle autorità imperiali, durante il loro "periodo d'oro".La grande diffusione nell'Impero romano avvenne nel III secolo. Nel corso di questo secolo il governo centrale,scosso da guerre intestine, invasioni barbariche e una grave crisi economica, aveva reagito stata continua e lanuova religione aveva fatto breccia sotterraneamente anche nella classe dirigente. Quindi, nonostante l'opposizionedi alcuni imperatori, nel III secolo la religione cristiana rivaleggiava ormai con vecchi e nuovi culti, soprattutto neigrossi centri urbani, che facevano da riferimento amministrativo.La forza sulla quale la giovane Chiesa fondava la propria autonomia era anche l'organizzazione economicae finanziaria, che si alimentava delle elargizioni e soprattutto delle eredità in punto di morte da parte dei fedeli.La Chiesa cristiana, quindi, non fu mai povera: il suo patrimonio comprendeva beni mobili e soprattutto immobili(terre e fattorie), ed era gestita efficacemente, in forme talvolta spregiudicate, attraverso vere e proprie"banche cristiane" Alcuni imperatori, sostenuti da quella parte di classe senatoriale che non gradiva affattoil cambiamento in atto, cercarono di porre un argine ai problemi economici dell'Impero proprio requisendo leproprietà della Chiesa cristiana, ma i motivi economici furono l'ultima postilla a una diatriba trisecolare. La nuovareligione era sempre stata contraria al dominio imperiale e le persecuzioni avevano soprattutto motivazioni politiche,filosofiche e religiose. Il monoteismo stava insidiando ovunque la vecchia cultura politeista. Era un vero e proprioscontro di idee e mentalità.In quest'epoca di guerre e militarizzazione la cultura pagana era distribuita universalmente, o "democraticamente", nei vasti territori imperiali. Tutti adesso erano "romani", ma la romanità e la classicità erano già in declino.Se la struttura politica traballava, le parole d'ordine divennero concordia, armonia ed unità. Nei circoli politicie intellettuali, come nelle comunità religiose, si parlava spesso di "potere unico", ovvero di monarchia, di regno,di unità. Così come si aspirava all'unificazione civile dell'impero, si ricercava quindi anche l'unificazione della sferaintellettuale e della sfera divina.Il Cristianesimo si opponeva sicuramente e palesemente alla cultura dominante, ma d'altra parte anche i suoiintellettuali erano impegnati nella rielaborazione dei sistemi filosofici ellenici e nella loro unificazione col monoteismo.Molti intellettuali "classici" avevano nettamente separato la loro filosofia dalla religione, affermando esplicitamenteche gli dèi non esistevano. Alla fine del III secolo, quindi, la società intera fu pervasa da uno spirito religioso talmenteforte che i vecchi culti, per nulla sopiti, si ridestarono, si trasformarono e si unificarono anch'essi, rispondendo in modocreativo alla sfida monoteista. Ma, proprio quando il monoteismo divenne un fenomeno di massa, gli imperatori, in particolareDiocleziano, reagirono in modo aggressivo e perseguitarono i cristiani violentemente quanto in passato.Quando, infine, Costantino si pose alla testa del movimento monoteista, all'inizio del IV secolo, ci fu ancora unafase di discussione fra intellettuali di ogni categoria e di ogni confessione religiosa. A quel punto Costantino, che conl'Editto di tolleranza di Milano del 313 aveva avviato una sempre più sistematica integrazione della Chiesa all'interno dellestrutture politico-amministrative dello Stato, si considerò addirittura alto patrono della Chiesa e ritenne di dovere favorirnelo sviluppo e la purezza delle dottrine. Proprio a tale scopo l'imperatore convocò nel 325 a Nicea il primo concilioecumenico generale della Chiesa, durante il quale vennero condannate le dottrine eretiche del prete alessandrino Arioe venne elaborata la prima organica stesura del credo cristiano.Una seconda fase della Chiesa è quella della patristica, cioè la formazione di un corpus di commenti alle scritturee di testi sul rapporto con la tradizione classica greco romana e ilgiudaismo. Sono numerose anche le apologienei confronti di tali sistemi dottrinali dovuti a scrittori, spesso ecclesiastici, che sono costretti a ripensare leottrine del Cristianesimo nell'ambito della cultura dell'epoca.Alla fine del IV e nel V secolo la crisi multilivello dell'impero arrivò a un grado talmente alto da portare sconfortoin ogni settore: militare, politico, civile, economico e culturale. Per l'uomo non sembrava esserci più alcunasperanza in questa terra. L'unica salvezza era in Cielo. Il Cristianesimo divenne l'unica religione legale nel 391con l'imperatore Teodosio. Allora i Cristiani erano circa il 50% della popolazione dell'Impero, ma rappresentavanola stragrande maggioranza nelle città: una crescita notevole se si pensa che all'epoca diCostantino i Cristiani eranosolo il 30% e nelle campagne la religione cristiana era diffusa solo marginalmente. La Chiesa divenne intollerantee autoritaria. La lotta alle idee divenne fondamentale per la gestione sociale. Lalibertà di pensiero fu resa impossibile.Subito si pose il problema del rapporto tra Cristianesimo e Stato, l'Impero romano. Il Cristianesimo, da religione messianica di ambientazione ebraica e con un messaggio prettamente ad "uso e consumo" degli ebrei, grazie alla sua diffusione negli ambienti della diaspora e all'apertura paolina ai "romani" (alle istituzioni, alla tradizione giuridica e alla cultura), nel corso dei secoli aveva acquistato una forza tale da cambiarne lo status giuridico: da religione illecita (fino a Costantino) a religione tollerata e in seguito, con Teodosio I, a religione di Stato.Cominciò progressivamente a differenziarsi anche la mentalità delle Chiese latine rispetto a quelle greche, e con i concili ecumenici si assistette ad una definizione rigorosa dell'ortodossia e alla formazione di un linguaggio teologico specifico cristiano, mutuato dalla filosofia greca. Ciò comportò anche il distacco di alcune chiese "etniche" dall'alveo della Grande Chiesa (vedi Chiese orientali antiche), che vennero comunemente indicate come Chiesa cattolica e ortodossa, nelle sue espressioni territoriali (chiesa latina, greca, alessandrina).L'imperatore Giuliano (361-363) aveva tentato inutilmente di tornare al politeismo. Ma la società stava cambiando. E, per la cultura greco-romana, la situazione stava precipitando. La razionalità, per quanto approfondita, non era più sufficiente a spiegare un mondo immerso nella "decadenza". L'ansia e l'angoscia non accennavano a diminuire. La struttura politica aveva già perso da tempo la sua vecchia autorità morale. Era nata una nuova istituzione, molto forte, a carattere "spirituale", che si rivolgeva direttamente al cuore dell'uomo. Un'organizzazione, ispirata al monoteismo cristianizzato, che da "giovane ribelle ingenua" si era fatta "adulta e responsabile". Questa istituzione - la Chiesa - riempì il vuoto morale che si era creato nell'umanità e assorbì tutte le richieste di giustizia. L'impero diventava un impero celeste.In nome di una giustizia migliore, in tutto il mondo conosciuto divenne impossibile esprimere opinioni contrarie a quelle del potere. L'autorità civile si associò a quella religiosa e arrivava ovunque. La legge, e la giustizia in generale, erano considerate come concessione volontaria di un solo Dio onnipotente. Non c'era più un patto con la divinità. Bisognava solo amarla e ringraziarla. Gli imperatori e gli uomini che nacquero da quest'epoca in poi furono sempre più spesso fervidi credenti. L'educazione che ricevevano e la cultura che seguivano sarebbero state sempre più monolitiche e dogmatiche.Dal suo riconoscimento ufficiale era passato mezzo secolo. Dopo qualche decennio di diatribe teologiche, la Chiesa cristiana - ormai l'unica chiesa ufficiale, la chiesa con la "c" maiuscola - divenne la sola istituzione che garantisse il diritto, per i popoli e per i cittadini. Nel 392 tutte le opinioni che discordavano con questa visione del mondo furono dichiarate illegali e perseguite militarmente.Mentre, in precedenza, guerre e assassini avvenivano per motivi chiaramente politici, con la creazione dell'impero gli intenti aggressivi furono mascherati da un ideale tendenza a un bene "universale" che, se realmente perseguito, non può che dimostrarsi irraggiungibile e quindi frustrante. Con l'incontro fra stato e chiesa questa tendenza divenne ancora più impellente e ancora più difficile da raggiungere. D'altronde la gente comune era sempre più spaventata dalle incursioni di popoli stranieri, i "barbari". Questa interpretazione passa per essere un cliché, una cosa scontata. Ma nei secoli successivi non solo gli attacchi non diminuirono ma anzi aumentarono e furono ulteriormente rinforzati dalla devastante guerra dell'impero orientale contro i Goti in Italia.La Chiesa era quella solida struttura di sicurezza che l'uomo non riusciva più ad individuare nello Stato, nell'Impero, in sé stesso, nella propria esistenza, nella vita cittadina o sui campi agricoli. L'esistenza terrena era perennemente in bilico ed era molto lontana dall'assicurare la felicità, antichissima e modernissima aspirazione dei filosofi come dell'uomo comune. L'occidente si era separato dall'oriente. Erano arrivati gli stranieri. Si era sviluppata "l'organizzazione universale". Il mondo antico si era dissolto, lasciando spazio a una nuova visione della vita.Già sotto papa Damaso I (366-384) inizia a svilupparsi l'autorità del vescovo di Roma in quanto successore di San Pietro, capo degli Apostoli, ed in materia di disciplina e di liturgia. Il papa Leone Magno (440-461) in diversi scritti esalterà il primato della sede di Pietro. Contro l'imperatore Anastasio, papa Gelasio I (492-496) afferma in un celebre testo il primato del potere spirituale su quello temporale. Per tutto il Medioevo i papi si ispireranno a questo testo per giustificare la loro posizione.La riconquista dell'Italia ad opera dell'imperatore bizantino Giustiniano, ricolloca, almeno per un certo periodo, il papato sotto l'influenza di Costantinopoli. Ma nel corso del VII secolo, l'invasione dei Longobardi porta progressivamente alla fine della presenza bizantina in Italia. L'occupazione dei nuovi arrivati coincide con il papato di Gregorio Magno, un papa energico, che assume il governo civile di Roma, ormai libera dal governatore bizantino, afferma l'autorità di Roma sui vescovi italiani, si sforza di intrattenere relazioni con le altre Chiese d'Occidente, invia missionari per la conversione dei popoli ancora pagani del centro e nord Europa.Nel territorio dell'ex Impero Romano d'Occidente si installarono diverse popolazioni germaniche. Alcune erano già convertite al Cristianesimo nella forma dell'arianesimo. È ad esempio il caso dei Vandali in Africa del Nord o dei Visigoti in Spagna e nel sud della Francia, e degliOstrogoti in Italia. Queste tribù, germaniche di stirpe ed ariane di religione, coabitano più o meno pacificamente con le popolazioni locali romanizzate e cattoliche. Invece i Franchi, che si installano nel nord della Gallia, e gli Anglosassoni, che invadono la Britannia, sono ancora pagani.La popolazione dei Vandali, dopo aver invaso e saccheggiato la Hispania romana, passano nella provincia romana dell'Africa, ove si installano definitivamente. Inizia una difficile coabitazione con la locale popolazione cristiana, sottoposta a persecuzioni. Con la riconquista bizantina ad opera di Giustiniano, i Vandali saranno facilmente sottomessi.Gli Ostrogoti, sotto la condotta del loro re Teodorico, si installano in Italia intorno al 489. Questa tribù era preoccupata di mantenere la sua propria identità nazionale, non si mischiano con la popolazione locale romanizzata, e la differenza di religione (ariani gli uni, cattolici gli altri) contribuì a questa separazione. Con la riconquista di Giustiniano anche gli Ostrogoti spariranno.La politica dei Visigoti (ariani) nei confronti della popolazione locale cattolica è generalmente assai tollerante. Con il regno di Leovigildo (568-586) le cose cambiano: animato da una politica nazionalista tesa ad unificare la Hispania sotto la bandiera dell'arianesimo, inizia a perseguitare in vario modo la chiesa cattolica. Il suo successore, Recaredo, adotta una politica opposta e si converte al cattolicesimo (Sinodo di Toledo, 589); d'ora in avanti inizia una stretta unione tra la chiesa e il regno.Completamente diversa è la situazione nel nord della Gallia. La popolazione dei Franchi, a differenza delle tribù germaniche stanziatesi più a sud, è ancora pagana. Sotto l'influenza di San Remigio, vescovo di Reims, il re dei Franchi Clodoveo si converte al Cristianesimo nella sua forma cattolica (nel 486 e 506). Questa conversione ha certamente contribuito alla successo del regno franco contro le altre popolazioni barbare della Gallia. Nel 507 Clodoveo ottiene l'appoggio dell'aristocrazia gallo-romana per cacciare i Visigoti ariani dal sud della Gallia ed unificare così sotto un unico regno l'ex provincia romana, Per la prima volta, dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, Clodoveo, facendo sua una prerogativa propria degli Imperatori di Roma, convoca un concilio dei vescovi di Gallia (nel 511). Questi e altri gesti del re meriteranno alla Francia il titolo di « figlia primogenita della Chiesa ».Nel Medioevo il monachesimo divenne uno «stato» ecclesiale e sociale stimato e determinante, che svolse in maniera monopolistica molti compiti importanti per la vita pubblica.Sotto il profilo ecclesiale e spirituale, i monasteri funsero da struttura ecclesiale accanto alla parrocchia, tanto potente da intaccare il potere dei vescovi. I monasteri medievali furono centri economici, specie di aziende agricole con esteso potere. Inoltre la diversa specializzazione dei monaci portava il monastero a godere di ampia autonomia in campo di previdenza, di medicina, di formazione scolastica. In alcuni casi i monasteri erano delle vere e proprie fortezze militari, come rifugio e punto di appoggio.Vescovi di antiche città romane e missionari di origine celtica (irlandese e scozzese) e anglosassone si dedicarono all'evangelizzazione dei popoli pagani e ariani o semi-ariani.I primi centri missionari furono le antiche città episcopali romane. In Irlanda priva di città, le istituzioni monastiche furono al centro dell'organizzazione ecclesiale. Gli abati, e non ivescovi, furono le vere guide responsabili della chiesa irlandese ed ebbero anche potestà di giurisdizione ecclesiastica. Dai monasteri irlandesi partirono monaci sacerdoti che fondarono monasteri chiese e cappelle in tutta Europa. Oltre la preghiera praticavano i lavori agricoli e di dedicavano allo studio ed alla medicina, aiutando anche i poveri e diffondendo la cultura antica.L'abate irlandese san Colombano, attivo nella Francia merovingia e nell'Italia settentrionale longobarda tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo fu tra questi missionari irlandesi quello che lasciò la traccia maggiore con i suoi viaggi e le numerose fondazioni sue o dei suoi seguaci, tra cui quelle di Luxeuil, San Gallo e Bobbio.I monaci anglosassoni ereditarono da quelli irlandesi l'uso della “peregrinatio pro Christo” lo zelo missionario che di lì a poco avrebbe portato alla cristianizzazione dei Sassoni e deiFrisi. La conversione dei Sassoni, avvenuta nel contesto della lotta condotta contro di essi da Carlo Magno, portò il Cristianesimo verso i Germani del nord.Il Cristianesimo riuscì presto ad affermarsi in Norvegia, grazie a re cristiani e monaci anglosassoni (X secolo) e si estese anche all'Islanda, pena la repressione, spesso forzata, delle religioni precedenti.Le numerose stirpi degli slavi si insediarono nei territori lasciati liberi dai Germani. Della loro cristianizzazione si occuparono tanto la Chiesa di Roma quanto la Chiesa di Bisanzio.Il Cristianesimo irlandese presenta delle caratteristiche particolari. Nel V secolo l'Irlanda era suddivisa in piccoli regni tribali, chiamati tuath, che pian piano si convertirono alla nuova religione. Mancando una struttura politica e civile centralizzata, la nuova Chiesa si sviluppò attorno ai monasteri e gli abati costituivano la vera autorità religiosa sul territorio. Inoltre, la lontananza da Roma, il fatto di non essere mai stata parte dell'Impero Romano, portarono la chiesa irlandese a conservare tradizioni antiche non conosciute in altre chiese del continente e ad avere una diversa data del giorno di Pasqua. Questo sollevò dei problemi quando molti monaci irlandesi iniziarono a lasciare l'isola per svolgere opera missionaria nella vicina Britannia e sul continente.La Chiesa d'Irlanda è stata fondata, secondo la tradizione, nel corso del V secolo da San Patrizio, cristiano della Britannia romana, che sbarcò sull'isola come schiavo durante la sua gioventù.A partire dal V secolo, la Britannia, abbandonata dalle legioni romane, è progressivamente invasa dalle tribù degli Angli e dei Sassoni, entrambi pagani, che spingono le popolazioni locali, romanizzate e cristiane, verso ovest (Galles e Cornovaglia) o al di là del mare in Irlanda. Nel corso di questo periodo oscuro è difficile sapere in che misura il Cristianesimo ha potuto sussistere nelle regione occupate dagli invasori germanici. È soprattutto a partire dalla fine del VII secolo che i regni anglosassoni sono evangelizzati in seguito alla missione di Agostino di Canterbury, mandato da papa Gregorio Magno, che convertì il re del Kent Etelberto (597) e fondò la diocesi di Canterbury. Nella stessa epoca i monaci irlandesi e scozzesi (iroscozzesi), a partire dal monastero di Lindisfarne, convertirono il re della Northumbria, Osvaldo (634). Gli altri regni anglosassoni aderirono al Cristianesimo su spinta di questi due primi regni.In seguito ad alcune tensioni sorte tra i missionari iroscozzesi da una parte e romani dall'altra, al riguardo soprattutto della data della Pasqua, ebbe luogo un importante concilio aWhitby (664) nel quale la chiesa celtica iroscozzese si adeguò al rito e alle tradizioni romane.Queste due tribù germaniche, pagane, si stanziarono nel sud dell'attuale Germania. Gli Alemanni subirono l'influsso dell'attività missionaria di San Colombano e di San Gallo; nell'VIII secolo sorgono centri ecclesiastici in tutta la loro regione; la Lex Alemannorum della prima metà del secolo VIII presuppone una struttura e un ordinamento ecclesiastico diffuso. I Bavari furono cristianizzati completamente verso la fine del 700, e centri ecclesiastici importanti furono Ratisbona, Salisburgo, Frisinga e Passavia.Difficilissime furono la missione e la conversione dei Sassoni, che si dimostrarono ben presto gli unici concorrenti dei Franchi quale popolo germanico dominante. La lunga e sanguinosa guerra di Carlo Magno (772-804) contro di loro portò al loro definitivo assoggettamento e alla conseguente forzata cristianizzazione.L'evangelizzazione e la conversione delle tribù germaniche del nord (attuali Danesi, Norvegesi e Svedesi) fu piuttosto tardiva. Iniziò solo verso la metà del IX secolo, con la conversione del re danese Harold I (nell'826) e si concluse nell'XI secolo con la conversione definitiva dei re svedesi.In questo contesto, consideriamo solo le Chiese ortodosse calcedonesi, ossia le Chiese orientali che riconoscono il Concilio di Calcedonia, mentre per le altre Chiese cristiane (copta, antiochena, monofisita, armena, ecc.) si devono consultare le singole voci.I Bizantini vedevano nel loro Impero l'immagine del regno celeste e nell'Imperatore l'immagine del sovrano celeste. Egli è il “luogotenente di Dio” ed è da lui che riceve il suo potere. L'incoronazione in Santa Sofia a Costantinopoli ad opera del Patriarca simboleggia questa sanzione divina (anche nei casi più chiari di usurpazione, il patriarca non ha mai rifiutato di incoronare un imperatore). In virtù di questo, l'imperatore è l'unico sovrano legale della città terrestre e tutti gli altri re sono suoi subordinati. Ancora nel XIV secolo, quando ormai l'Impero bizantino volgeva al termine, l'imperatore ricordava al granduca di Mosca, che misconosceva l'autorità dell'Imperatore, che “unico è l'Imperatore universale”.La persona dell'Imperatore ha un carattere sacro: egli è uguale agli Apostoli (isapostolos). Non è prete, ma, come i preti, entra nel Santo dei Santi, dietro l'iconostasi, e comunica sotto le due specie. Spetta all'Imperatore far rispettare le leggi ecclesiastiche, che in molti casi sono ipso facto anche leggi civili. È lui che convoca i Concili ecumenici; è lui che sceglie il Patriarca, in base ad una lista che gli viene presentata (può anche scegliere un laico, come nel caso di Fozio I, che poi in pochi giorni riceve tutti gli ordini sacri). Nei primi secoli, inoltre, l'Imperatore interviene nella questione dei dogmi, interventismo che culminerà con la crisi iconoclasta.Teoricamente, tra imperatore e patriarca dovrebbe regnare l'armonia per il bene dello Stato e della Chiesa. Ma è di fatto un fragile equilibrio. Quando, negli ultimi secoli dell'Impero, gli imperatori, per motivi strettamente politici, chiederanno l'unione con la Chiesa di Roma, si troveranno ad affrontare l'opposizione della Chiesa, in particolare dei patriarchi e deimonaci.I veri vincitori della crisi iconoclasta sono i monaci, che formano un vero e proprio partito, che non esita a contestare l'autorità imperiale. Per il loro alto numero e la loro presenza in tutti gli abiti della popolazione, esercitano un grande influsso sul popolo e sull'opinione pubblica. Con il loro ascetismo e il rifiuto del mondo, costituiscono un ideale di vita per il popolo, che li considera i veri mediatori con Dio. Sempre più frequentemente, è tra i monaci che verranno scelti i Patriarchi di Costantinopoli.Nel corso del VII secolo si sviluppa l'iconoclastia, ossia una reazione e un rifiuto del culto delle immagini (icone in greco). È un culto che si manifesta in diversi modi: dall'accensione di una lampada alla prosternazione davanti alle immagini, fino ad arrivare a considerarle sacre in sé stesse.Le prime misure iconoclaste sono prese nel 725 dall'imperatore Leone III, quando sostituisce il patriarca di Costantinopoli Germano con Anastasio, fedele all'iconoclastia. Ma con il nuovo Imperatore, Costantino V, la dottrina iconoclasta diventa dottrina ufficiale dell'impero, ed inizia la persecuzione. I maggiori oppositori (gli iconoduli, favorevoli al culto delle immagini) sono i monaci, che a Costantinopoli sollevano il popolo. Con l'imperatrice Irene si ha una reazione opposta: essa convoca un concilio che, nel 786-787, ristabilisce il culto delle immagini. La lotta riprende nell'815 quando il nuovo Imperatore Leone V ritorna all'iconoclastia, ma deve subire una dura reazione, condotta soprattutto da Teodoro lo Studita. Solo con la morte dell'imperatore Teofilo, nell'845, viene definitivamente ristabilito il culto delle immagini.Una seconda crisi fra Occidente e Oriente scoppia nel IX secolo, in occasione della deposizione del patriarca Ignazio e della nomina come suo successore di Fozio, inizialmente non riconosciuto da Roma. In occasione di questa diatriba, viene evocata per la prima volta la questione del Filioque.Nel corso del VI secolo la penisola balcanica è invasa da tribù slave pagane. La conversione al Cristianesimo di queste tribù si effettua in diverse tappe ed è accompagnata da frizioni con la Chiesa occidentale.Nell'862 Rastislav, principe della Grande Moravia, chiede ai Bizantini di inviargli alcuni preti per formare una chiesa locale. Il patriarca Foziogli invia due fratelli: Cirillo e Metodio, originari di Tessalonica, che conoscevano il mondo slavo perché di ascendenza slava per via di madre. Cirillo mette a punto il primo alfabeto slavo, il glagolitico. La loro missione è un successo. Agli inizi essa è sostenuta dal papa di Roma; ma ben presto si inimicano i partigiani dell'uso delle tre lingue (che ammettevano solo l'uso del greco, del latino e dell'ebraico come lingue liturgiche), e soprattutto alcuni vescovi franchi, che temevano che la regione passasse dall'influenza politica germanica a quella bizantina. Dopo la morte dei due fratelli, i loro successori furono cacciati dalla Grande Moravia.I Bulgari, popolo di origine uralo-altaiche dal Basso Volga dove esisteva una Grande Bulgaria (Onoghuria) dal 630, nemici di lunga data dei Bizantini, si convertono al Cristianesimo nello stesso periodo. Nell'866, il khan bulgaro Boris (852-889) è battezzato, e con lui tutto il suo popolo. Agli inizi la Bulgaria esita tra Roma e Costantinopoli; alla fine, accetta usi, costumi e tradizioni liturgiche di Bisanzio. La stessa sorta tocca ad altre tribù slave, stanziatesi nell'attuale Serbia. Così avviene che proprio nei Balcani inizia a crearsi una nuova frontiera, che divide mondo cristiano ortodosso orientale, e mondo cristiano cattolico occidentale.
|
« Colpita nei suoi interessi materiali, nella libertà, e sovente nella vita dei propri preti, la Chiesa ha saputo trarre dalla persecuzione la sua purificazione; ha saputo dare dei nuovi martiri e, attraverso la loro testimonianza, acquistare nuova autorità e nuovo prestigio davanti alle coscienze » |
(Emanuele Artom, in Rassegna Storica Toscana, 4, 1958, p. 217) |
Questa osservazione di uno storico italiano, peraltro non cattolico, delinea in poche righe la vita e l'azione della Chiesa nel corso dell'Ottocento. Certamente le condizioni della Chiesa durante tutto il XIX secolo a prima vista non appaiono delle più felici:
-
l'autorità della Santa Sede nella politica internazionale è quasi del tutto scomparsa: i Legati pontifici, per esempio, sono esclusi dai grandi congressi e dalla conferenza di pace di Versailles nel 1919;
-
il potere temporale cessa di esistere con l'annessione al Regno d'Italia;
-
gli Stati oramai ricusano la loro sanzione alle decisioni ecclesiastiche, che per lo più restano lettera morta;
-
le leggi di laicizzazione privano la Chiesa dei suoi tradizionali mezzi di sussistenza;
-
ma soprattutto, incolmabile sembra essere il solco che si forma tra la Chiesa cattolica e il mondo moderno:
-
la società contemporanea esalta l'ideale della libertà; la Chiesa si allea invece con i regimi assoluti, o almeno ciò che resta di essi, come per esempio l'Austria di Francesco Giuseppe e la Francia di Napoleone III;
-
alla luce delle nuove scoperte scientifiche e storiche si formulano nuove ipotesi sull'origine dell'universo; la Chiesa guarda con sospetto alle nuove correnti della scienza e cerca di difendersi con inefficaci e oramai anacronistiche proibizioni;
-
la cultura moderna si impregna di idealismo e di positivismo; il socialismo offre al proletariato un appoggio per la sua redenzione sociale ben più efficace di quello promesso dai cattolici, troppo spesso pronti solo a parlare di rassegnazione.
-
Ma insieme alle resistenze e alle difficoltà ad abbandonare la tradizione, vi sono elementi che dicono anche novità e lento adeguamento alla modernità.
Le lotte condotte dalla Chiesa contro gli Stati moderni liberali (separatismo) rompono definitivamente quella stretta solidarietà che legava nell'ancien régime trono e altare, Stato e Chiesa. Alcuni esempi:
-
nel gennaio 1904 Pio X condanna esplicitamente l'intromissione dei governi nella elezione del papa (costituzione apostolica Commissum Nobis); è la fine di ogni forma digiurisdizionalismo;
-
nei primi mesi del 1905 il Papa nomina, in modo assolutamente libero e senza ingerenze statali, alcuni vescovi francesi; è la prima volta, almeno dai tempi di Filippo il Bello, che un pontefice può nominare vescovi senza l'autorizzazione o la diretta nomina statale;
-
i due ultimi concili della Chiesa cattolica (il Vaticano I e il Vaticano II) hanno goduto di una libertà che non ha precedenti negli altri Concili della Chiesa cattolica; è significativo il fatto che al Concilio Vaticano I si decise, per la prima volta, di non invitare nessun capo di Stato cattolico (come era stato fatto fino al Concilio di Trento): il Presidente del Consiglio in Francia, l'Ollivier, annotò: « È la separazione della Chiesa e dello Stato, attuata dal papa stesso ». E all'inizio del Vaticano II, Giovanni XXIII ribadiva: « Non si può negare che queste nuove condizioni della vita moderna hanno almeno questo vantaggio, di aver tolto di mezzo quegli innumerevoli ostacoli, con cui un tempo i figli del secolo impedivano la libera azione della Chiesa… Non senza grande speranza e con nostro conforto vediamo che la Chiesa, oggi finalmente non soggetta a tanti ostacoli di natura profana, che si avevano nel passato, possa da questa basilica vaticana far sentire la sua voce » (dal Discorso di apertura del Vaticano II).
L'ultramontismo [modifica]
Più indipendente nei confronti dello Stato, la Chiesa quasi serra le file attorno al suo capo, il Papa. Nasce così e si sviluppa nel corso dell'Ottocento l'ultramontanismo, fenomeno che, se da un lato mette fine al gallicanesimo e ad ogni forma di autonomia delle Chiese nazionali, dall'altro si caratterizza per un forte accento di intransigenza. Diversi fattori hanno portato alla nascita dell'ultramontanismo, tra cui gli scritti di De Maistre e Lamennais, che esaltano le prerogative del papato e il suo influsso nella società; e l'azione dei Papi dell'Ottocento (soprattutto Pio IX), che in molte occasioni raccolgono a Roma vescovi, sacerdoti e fedeli in grandi raduni e manifestazioni pubbliche, con l'intento di resistere meglio al processo di laicizzazione della società.
Questo processo porta inevitabilmente ad una maggiore centralizzazione, cioè in pratica ad un sempre maggior intervento delle Congregazioni vaticane nella vita delle singole diocesi; ad una maggior uniformità della disciplina ecclesiastica; ad un maggior senso di appartenenza non a questa o quella chiesa locale, ma alla Chiesa del Papa, alla Chiesa di Roma.
La situazione del clero secolare nel corso dell'Ottocento è varia ed offre caratteristiche assai diverse in America e nel vecchio continente.
Negli Stati Uniti i sacerdoti secolari rimasero a lungo inferiori ai bisogni di una popolazione in continuo aumento. Nel 1860, l'85% del clero era costituito da immigrati, di cui i vescovi facevano sempre più richiesta. Nel 1857, a Lovanio fu aperto un seminario per la preparazione di sacerdoti destinati all'America del Nord.
In America Latina, il numero dei sacerdoti era più o meno sufficiente alle esigenze e ai bisogni pastorali, ma il loro livello morale non era all'altezza della situazione. In particolare era drammatica la situazione del clero in Brasile: nelle visite ad limina al Papa, i vescovi brasiliani si lamentano dello scarso numero di preti (1 ogni diecimila abitanti) e del diffuso concubinaggio sacerdotale.
La situazione europea è totalmente diversa. Da un lato si assiste ad un calo sostanziale del numero di sacerdoti rispetto ai secoli precedenti (dovuto spesso alla fine del concetto dicarriera ecclesiastica cui spesso i giovani di molte famiglie nobili o borghesi erano destinati), dall'altro la loro condizione e formazione è molto migliorata.
Nel corso dell'Ottocento, gli Istituti religiosi offrono uno spettacolo apparentemente contraddittorio di forte crisi, ma anche di promettente sviluppo.
La crisi è dovuta alla difficoltà a rinunciare agli antichi privilegi e alla libertà di cui i religiosi dei vecchi ordini avevano goduto a lungo nei secoli precedenti. Questo è evidente nella pratica del voto di povertà, nell'insufficienza della selezione e della formazione dei candidati, nelle continue beghe dei religiosi tra loro e col clero secolare. La Santa Sede intervenne in più occasioni, da un lato istituendo speciali Congregazioni vaticane per la riforma della vita religiosa; dall'altro con la pubblicazione di norme e direttive riformatrice, estese a tutti gli ordini, vecchi e nuovi.
Se da un lato abbiamo una crisi che coinvolge soprattutto gli antichi ordini religiosi, dall'altro si assiste nel corso dell'Ottocento ad un fiorire prodigioso e vertiginoso di nuove Congregazioni religiose, e soprattutto di Congregazioni religiose femminili di vita attiva, ossia di Congregazioni dedite ad opere di apostolato fuori dal convento e dalla clausura (cui erano obbligatoriamente relegate le religiose). In Italia, nel corso del XIX secolo si assiste alla nascita di 23 nuove Congregazioni religiose maschili e di ben 183 nuovi istituti religiosi femminili: la maggior parte di queste nuove Congregazioni è dedita all'assistenza agli ammalati, all'educazione, alla scuola.
Lo storico gesuita Giacomo Martina paragona « l'ingresso dei laici nella lotta per la difesa dei diritti della Chiesa all'irrompere della donna nella vita consacrata attiva, e costituisce uno dei tratti salienti della vita del popolo di Dio nell'età posteriore alla rivoluzione francese ».
L'iniziativa di un intervento diretto del laicato cattolico nella società contemporanea e nella vita politica e sociale all'inizio è mal visto dalla Santa Sede, e considerato come un'ingerenza.
In Germania, Francia e in Italia si sviluppa tutta una rete di associazioni con fini assistenziali, liturgici, culturali, sociali: nascono così leConferenze di San Vincenzo, la Società per la Propagazione della fede, la Borromäusverein per la diffusione della stampa, il Movimento Ceciliano per il rinnovamento della musica sacra; si diffondono i Congressi Cattolici, la Società della gioventù cattolica che poi diviene l'Azione Cattolica. La novità più decisiva è la nascita di veri e propri partiti politici di ispirazione cattolica, che in modi e tempi diversi da Paese a Paese, ottengono voti e siedono in Parlamento. Il più importante, nell'Ottocento, è il partito cattolico tedesco, lo Zentrum, che dopo il 1870 si libera dai caratteri prettamente confessionali; la medesima cosa in Olanda nel 1877, in Belgio nel 1863, in Austria con il partito cristiano sociale, ed in Italia con il Partito Popolare di Don Sturzo.
Tutti questi partiti politici, devono lottare da un lato contro l'integrismo, che voleva far assumere dalla gerarchia ecclesiastica la responsabilità di scelte politiche contingenti; e dall'altro contro l'aconfessionalismo assoluto, che rischiava di portare all'abbandono del fine per cui il partito era sorto. E così, appare lungimirante la scelta del capo dello Zentrum, il Windthorst, che nel 1887 si rifiutò di seguire le pressioni papali che volevano un appoggio al Bismarck nella speranza di ottenere migliori condizioni per la vita della Chiesa cattolica in Germania: per un partito di ispirazione cristiana, affermò il Windthorst, è necessario mantenere la propria indipendenza nelle scelte politiche concrete.
Un altro punto di notevole interesse e di risveglio del mondo cattolico fu l'azione missionaria, che dopo il declino del Settecento e il tracollo quasi completo con la rivoluzione francese, subì un'impennata positiva, grazie in modo particolare: al Romanticismo che, con ilChateaubriand e il suo Génie du christianisme, esaltava l'opera civilizzatrice della Chiesa; alle nuove esplorazioni, che per la prima volta fecero conoscere all'Europa l'Africa e l'Estremo Oriente; alle iniziative di vari Pontefici (in particolare Pio VII, Gregorio XVI, Pio IX e Leone XIII).
Ma fu ancora una volta dalla base che arrivò un impulso decisivo all'azione missionaria. Ricordiamo la nascita dell'Opera della Propagazione della fede di Pauline Marie Jaricot nel 1822 e il fiorire di numerose Congregazione missionarie: le Missioni Estere di Parigi (MEP), ilPontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano (PIME), l'Istituto per le missioni africane (Comboniani), i Saveriani di Parma, i Padri Bianchi del cardinal Lavigerie, i Missionari di Scheut in Belgio, i Missionari di Mill Hill in Inghilterra, la Società del Verbo Divino in Olanda. A queste vanno aggiunte tutte le Congregazioni religiose sorte in questo periodo non necessariamente dedite alle missioni, ma che fecero di questo campo uno dei loro punti principali: tra queste ricordiamo soprattutto i Salesiani di Don Bosco.
Gli sforzi missionari si diressero soprattutto in Africa, continente che possiamo dire venne scoperto nell'Ottocento, e nell'Estremo Oriente, in particolare in Cina, Giappone, Indocina e Oceania. Non va comunque dimenticato che le missioni del XIX secolo risentono ancora, nella mentalità e nella prassi, delle caratteristiche tipiche dell'ancien régime: l'evangelizzazione è ancora legata all'appoggio dei governi europei e all'europeizzazione, è fondata su una teologia oramai superata, fonda la possibilità di salvezza nella sola appartenenza alla Chiesa visibile, misconosce in molti casi gli autentici valori delle religioni orientali. Inoltre, certi retaggi del passato sono ancora difficili da superare: è il caso della Chiesa del Brasile, dove, ancora a metà dell'Ottocento, vigeva la schiavitù a cui aderivano anche le istituzioni ecclesiastiche (per esempio, una donna poteva essere affrancata solo se dava 5 figli maschi al convento di cui era schiava).
La cosiddetta "questione romana" è la controversia politica relativa al ruolo di Roma, sede del potere spirituale e temporale del Papa ma, al contempo, capitale naturale d'Italia. La controversia sorge con il Risorgimento italiano, a cui si contrappone il Papato, che considerava il potere temporale essenziale per la sua sopravvivenza. L'intransigenza papale sulla questione romana ebbe come conseguenza un forte incremento dell'anticlericalismo; la mancanza dei cattolici dalla vita politica nazionale e dunque una tendenza laicista del governo nei confronti della Chiesa; il fatto che l'Italia, per almeno trent'anni, fu spaccata in due (cfr. lo storico steccato), e questo portò a considerare sempre negativamente tutto ciò che avveniva nel campo non confessionale (anche quello che di buono c'era: una delle cause della crisi modernista).
L'avvento al soglio pontificio di Pio IX nel 1846 aveva suscitato speranze di una conciliazione tra il papato e le aspirazioni nazionali, soprattutto dopo l'introduzione nello Stato Pontificio di riforme che non usavano gli schemi del dispotismo illuminato (amnistia per i reati politici, moderata libertà di stampa, creazione di un consiglio di ministri, di una guardia civica, prudente e limitata ammissione dei laici al governo, concessione di una carta costituzionale). Nasce il mito di Pio IX, papa liberale ed antiaustriaco.
Ma lo scoppio della prima guerra di indipendenza contro l'Austria obbliga il Papa a chiarire le sue posizioni: nell'allocuzione del 29 aprile 1848, egli dichiara di non poter partecipare ad una guerra contro l'Austria perché inconciliabile con i suoi doveri di capo della Chiesa universale (e nella redazione ufficiale scompare il tono filoitaliano presente nella minuta). Pur non condannando la guerra all'Austria e non vietando ai sudditi pontifici di partecipare, a titolo personale, alla guerra, l'allocuzione sferzò l'entusiasmo di molti italiani, che gridarono al tradimento.
La situazione precipita: il 15 novembre 1848 viene ucciso il primo ministro Pellegrino Rossi; il 16 scoppia una rivolta ed il 24 Pio IX è costretto a fuggire a Gaeta. Ritorna a Roma solo nell'aprile del 1850, dopo che le truppe francesi avevano sconfitto le truppe della neonata Repubblica romana. Tutti questi avvenimenti rafforzarono nel Papa la diffidenza verso il liberalismo.
Il biennio 1859-1861 vede la nascita del Regno d'Italia con la sottrazione di una parte notevole dello Stato Pontificio. Pio IX scomunica gli usurpatori, mentre Cavour propone al Papa la rinunzia a Roma proponendo la libertà alla Chiesa mediante la separazione dei due poteri. Ma il papa si chiude in una sempre più forte intransigenza, aumentando il solco tra coscienza nazionale e coscienza religiosa.
Pio IX aveva sempre sperato nell'aiuto delle potenze cattoliche, specialmente della Francia. Ma il 15 settembre 1864, una convenzione tra Napoleone III e il governo italiano portava al ritiro delle truppe francesi da Roma con la rassicurazione italiana di rispettare i resti del potere temporale papale. In seguito, la sconfitta francese contro i prussiani e la caduta diNapoleone, permette al governo italiano di occupare Roma, il 20 settembre 1870, e di mettere fine al secolare Stato Pontificio.
Il 13 maggio 1871, con la Legge delle Guarentigie, lo Stato italiano, unilateralmente non riconosceva al papa nessuna sovranità, ma gli prometteva onori sovrani, l'uso (non la proprietà) del Vaticano; lo Stato poi rinunziava alla nomina dei vescovi (pur mantenendo l'exequatur e non riconoscendo i religiosi). Pio IX respingeva tutte queste decisioni ed anche la somma annua garantitagli dallo Stato che considerava un usurpatore dei diritti papali.
Dopo il 1870 possiamo distinguere due periodi diversi circa i rapporti tra Santa Sede e Stato Italiano.
Il pontificato di Leone XIII è caratterizzato da un inasprimento dei rapporti, con un crescente anticlericalismo e la contrapposta intransigenza cattolica. Sulla questione romana la posizioni restavano immutate: per i liberali la legge delle guarentigie aveva risolto definitivamente il problema, mentre i cattolici auspicavano il ristabilimento del potere temporale, come condizione indispensabile per il libero esercizio dell'autorità papale (almeno a Roma, così la pensava anche Leone XIII). Continuava invece il Non expedit (« non conviene ») vaticano sull'astensione dei cattolici dalla vita politica (mentre era possibile la partecipazione alle elezioni amministrative). Autoesclusi dalla partecipazione diretta alla vita politica, i cattolici si raccolsero in movimenti di opposizione fuori dal parlamento (confluiti poi nell'Opera dei Congressi).
I pontificati di Pio X, di Benedetto XV e di Pio XI (cioè i primi tre decenni del XX secolo) videro invece la distensione ed un graduale riavvicinamento. Infatti le affermazioni politiche deisocialisti provocarono l'alleanza tra cattolici e liberali moderati (Giolitti) in molte elezioni amministrative, alleanza detta clerico-moderatismo. Segno di questi mutamenti è l'enciclica del 1904 Il Fermo Proposito, che se conservava il non expedit, ne permetteva tuttavia larghe eccezioni, che poi si moltiplicarono: vari cattolici così entrarono in parlamento, anche se solo a titolo personale.
Nel 1913, con il Patto Gentiloni, si ebbe la vittoria del cosiddetto clerico-moderatismo, che permise ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche. I cattolici dettero voti ai candidati liberali che avevano aderito ad alcuni punti programmatici (libertà della scuola, opposizione al divorzio, ecc.); a loro volta i liberali promettevano l'appoggio a qualche candidato cattolico. Sulla questione romana le pretese territoriali vennero sempre di più a scemare; il problema si riduceva ormai alla ricerca di condizioni giuridiche che assicurassero al papa un'indipendenza effettiva e palese.
Nel 1919 abbiamo l'abrogazione ufficiale del Non expedit, già morto da tempo, e la fondazione del Partito Popolare, vagheggiato già nel 1905 da Don Sturzo come partito di ispirazione cattolica, ma aconfessionale, indipendente dalla gerarchia nelle sue scelte politiche.
Già nel giugno del 1919, a Parigi, alla conferenza di pace dopo la prima guerra mondiale, ci fu un colloquio tra il Cerretti, uno dei migliori diplomatici vaticani, e il presidente del consiglio Orlando. Viva fu l'opposizione di Vittorio Emanuele III: il Re dichiarò che sarebbe stato meglio abdicare piuttosto che trattare con la Chiesa. Ciò che non riuscì con il regime liberale (ormai agonizzante) riuscì invece con il regime fascista di Mussolini.
La conciliazione fra lo stato italiano e la Santa Sede, già raggiunta a livello di coscienze e sul piano politico, mancava ancora di un riconoscimento giuridico. Tra il 1925 e il 1926una commissione mista fu incaricata di esaminare la questione delle proprietà ecclesiastiche. Ma nel 1926, in una lettera al segretario di stato cardinal Pietro Gasparri, Pio XIdichiarava che non si potevano trattare questioni secondarie quando era ancora insoluto il problema essenziale: la questione romana. L'invito era chiaro: iniziarono così i primi sondaggi e le prime trattative ufficiose tra l'avvocato Francesco Pacelli per il Vaticano e il giurista Domenico Barone per parte italiana, alla cui morte succedette il giurista Nicola Consiglio.
Nel novembre del 1928 iniziarono le trattative ufficiali che toccarono momenti drammatici. Per due volte, gennaio 1927 ed aprile 1928, i colloqui si interruppero per le pretese fasciste di monopolio sull'educazione giovanile. L'intransigenza di Pio XI indusse Mussolini a parziali concessioni, permettendo associazioni cattoliche educative-pastorali (l'Azione Cattolica).
Si susseguirono vari schemi, rispondenti a tre postulati della Santa Sede: costituzione di un autentico stato (pur se ridotto territorialmente), compensi finanziari, concordato. Il governo italiano a fatica accettò il primo punto: infatti solo con la morte del Barone, sostenitore della tesi che la sovranità papale si scontrava con le tradizioni risorgimentali e con la mentalità liberale, il Vaticano riuscì a far accettare il primo punto. Per il concordato le discussioni furono più laboriose (Pio XI si mostrò più energico su questo punto che non sul primo), tese a ridurre le ampie richieste iniziali della Santa Sede che comprendevano fra l'altro: il cattolicesimo come religione di stato, il ripristino dell'insegnamento della religione nelle scuole medie superiori, il riconoscimento civile del sacramento del matrimonio, il riconoscimento degli ordini religiosi.
Si arrivò così alla firma dei Patti l'11 febbraio 1929 tra il cardinal Gasparri e Mussolini nel palazzo del Laterano. Essi comprendevano un trattato e un concordato (con annessa convenzione finanziaria). La questione romana, dopo 70 anni, era così definitivamente chiusa.
L'immenso progresso tecnico, industriale e commerciale nell'Europa dell'Ottocento e dei primi del Novecento è accompagnato da notevoli problemi di carattere sociale e psicologico e da una diffusa disuguaglianza: ossia la concentrazione di ingenti ricchezze nelle mani di pochi imprenditori e «al giogo poco men che servile imposto da un'esigua minoranza di straricchi all'infinita moltitudine di proletari» (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 2). Al benessere di pochi fa da contraltare il malessere, il degrado, la miseria dei lavoratori:
-
orari di lavoro impossibili;
-
arruolamento indiscriminato di donne e bambini, anche in tenera età;
-
mancanza di ogni sicurezza di fronte a infortuni e malattie;
-
salari appena sufficienti al singolo operaio, non alla sua famiglia;
-
mancanza di igiene sul posto di lavoro e nelle abitazioni dei lavoratori;
-
esclusione assoluta della classe operaia da ogni decisione in ambito lavorativo.
Ben presto, di fronte al ripetersi sempre più frequente di tumulti e insurrezioni operaie (1831 e 1848), iniziano a diffondersi le prime idee sociali e i primi tentativi di risolvere quella che è passata alla storia come “questione sociale”.
Senza entrare nel merito della genesi e delle cause della questione sociale, e rimandando alle voci proprie relative ai primi e importanti tentativi, a livello teorico, di dare una risposta ai problemi e alle esigenze della classe operaia (Saint-Simon, Fourier, Pierre Proudhon, Karl Marx), in questo capitolo tentiamo una sintesi delle posizioni cattoliche di fronte alla questione sociale.
In generale i cattolici solo con un certo ritardo presero coscienza della questione sociale, e fra essi si svilupparono due tendenze, che persistettero l'una accanto all'altra per oltre un secolo:
-
da una parte troviamo posizioni che cercavano soluzioni ai problemi sociali nel campo assistenziale-caritativo; restava infatti il principio che l'operaio non può rovesciare l'ordine costituito (in aperto contrasto con il socialismo);
-
dall'altra parte assistiamo nel corso dell'Ottocento anche ad un'azione a favore della classe operaia di stampo unicamente assistenziale-caritativo e paternalistico ad un'azione propriamente sociale, con il riconoscimento dei diritti dell'operaio e della difesa collettiva di questi diritti. Per esempio, prova di questa lenta maturazione è in Italia il diverso nome che assunse la seconda sezione dell'Opera dei Congressi, dedicata ai problemi sociali: si passa da “sezione della carità” (1874), a “sezione della carità ed economia cattolica” (1879), per arrivare a “sezione dell'economia sociale cristiana” (1887).
Per buona parte dell'Ottocento i cattolici condivisero per lo più i sentimenti della borghesia sull'ineluttabilità delle leggi economiche e sulla fatalità della miseria che accompagna l'umanità in tutta la sua storia: un cambiamento della situazione è considerato utopico.
I documenti dei Papi e gli scritti cattolici più o meno scientifici che si muovono in questa linea, sono preoccupati di difendere la proprietà privata e di condannare le opere e le idee dei socialisti.
Pio IX, nella sua enciclica programmatica Qui pluribus del 1846 condanna il socialismo e il comunismo (ribadita nella Quanta cura e nel Sillabo del 1864), ma insieme critica fortemente l'amoralismo economico e la negazione di ogni diritto naturale.
Leone XIII non si allontana inizialmente da queste posizioni:
-
nella Quod Apostolici Muneris (1878) condanna ancora il socialismo, riafferma il diritto di proprietà, raccomanda ai ricchi di dare ai poveri il superfluo, e raccomanda ai poveri di frenare le ambizioni e di custodire l'ordine stabilito: « Cristo incalza i ricchi col gravissimo precetto di dare ai poveri il superfluo, e li spaventa intimando loro il giudizio divino, secondo il quale se non verranno in aiuto dell'indigenza saranno puniti con eterni supplizi. Da ultimo ricrea e conforta considerevolmente gli animi dei poveri sia proponendo l'esempio di Cristo il quale, essendo ricco, si fece povero per noi (2Cor 8,9), sia ripetendo quelle parole di Lui, con le quali chiama i poveri beati, e comanda loro di sperare i premi dell'eterna beatitudine… Che [tutti] prestino ossequio all'autorità dei Principi e delle leggi, e che, frenate le cupidigie, custodiscano gelosamente l'ordine stabilito da Dio nella civile e nella domestica società »;
-
idee analoghe appaiono nell'enciclica Auspicato Concessum: « La difficoltà che travaglia le menti degli uomini di governo sul modo di equamente comporre le ragioni dei ricchi e dei poveri, resta mirabilmente sciolta una volta che sia scolpita negli animi la persuasione che la povertà non è per se stessa spregevole: occorre che il ricco sia caritatevole e munifico; che il povero sia rassegnato e attivo, e poiché nessuno dei due è nato per i mutabili beni della terra, gli uni con la sofferenza, gli altri con la liberalità si procurino di raggiungere il cielo »;
-
infine nell'enciclica Graves de Communi Re (1901), il Pontefice definisce la democrazia « benefica azione cristiana a favore del popolo ».
Accanto alla linea conservatrice, si sviluppa pian piano un atteggiamento diverso, più propositivo e costruttivo.
Inizialmente, assistiamo alla nascita di diverse organizzazioni cattoliche assistenziali e caritative (per esempio le Conferenze di San Vincenzo de Paoli, fondate dall'Ozanam a Parigi nel 1833; la Società di San Francesco Saverio nata nel 1840; le Gesellenverein, associazioni di apprendisti, fondate in Germania dal sacerdote Adolf Kolping nel 1847; da non sottovalutare poi le azioni caritative del Cottolengo e di Don Bosco a Torino), che però erano ancora limitate da una mentalità paternalistica. Sul piano teorico, non mancano le prime denunzie della situazione della classe operaia ed in genere dei problemi legati alla questione sociale e i primi tentativi di soluzione. Ricordiamo solo alcuni esempi:
-
nel corso del 1848, sulla rivista cattolica francese « Ere nouvelle », autori come Lacordaire, Maret, Ozanam tracciano un programma sociale che desta scandalo fra i bempensanti: parlano di legislazione a difesa dell'infanzia, della malattia, della vecchiaia; di associazionismo operaio; di comitati misti padroni-lavoratori per comporre le vertenze in ambito lavorativo; si riconosce un diritto al lavoro, che appare alla borghesia come una follia.
-
all'inizio degli anni cinquanta dell'Ottocento, sulla rivista romana dei Gesuiti « Civiltà Cattolica », appaiono con sempre più frequenza articoli che, se da un lato manifestano ancora un forte tono paternalistico, dall'altro individuano i principi per una soluzione della questione sociale: subordinazione dell'economia alla morale, perché l'amoralismo economico porta necessariamente all'oppressione dei deboli; affermazione della funzione sociale della proprietà privata; necessità dell'intervento statale nelle questioni economiche; importanza dell'associazionismo professionale.
-
di notevole spessore infine i discorsi e gli scritti del vescovo di Magonza, Emmanuel von Ketteler, eletto poi deputato nel Reichstag, che insiste sulla necessità per la Chiesa di intervenire nella questione sociale perché essa è anche una questione morale, e sull'urgenza per lo Stato di interessarsi delle classi operaie, aiutandole ad organizzarsi e a proteggersi contro ogni iniquo sfruttamento.
La rivolta parigina del 1871 cambiò radicalmente la situazione intensificando il movimento cattolico, giustificato da un lato dalla paura ora effettiva di ciò che il malessere sociale poteva causare, dall'altro dalla paura di perdere le masse sempre più attratte dal socialismo.
-
In Austria, le idee del von Ketteler furono riprese da Karl von Vogelsang, che nelle tesi di Haid (pubblicate nel 1883) si orientava verso un deciso corporativismo.
-
In Francia, abbiamo da una parte la linea conservatrice della scuola di Angers guidata dal suo vescovo mons. Freppel; dall'altra una linea socialmente più aperta, i cui maggiori esponenti furono René de La Tour du Pin, Albert de Mun e l'industriale Léon Harmel.
-
In Belgio prevale la linea conservatrice, difesa dal professore di economia politica di Lovanio, Charles Périn.
-
In Italia, abbiamo la nascita dell'Opera dei Congressi, la cui seconda sezione prenderà nel 1887 il nome di “sezione dell'economia sociale cristiana”. Si sviluppano nello stesso tempo studi teorici sull'argomento: dopo il 1889 si organizza l'Unione cattolica per gli studi sociali diretta da Giuseppe Toniolo; a Roma il gesuita p. Liberatore pubblicava i suoiElementi di economia politica sotto lo stimolo e la guida dello stesso pontefice Leone XIII.
-
Negli Stati Uniti, il cardinal Gibbons difende i Cavalieri del Lavoro, uno tra i primi sindacati cristiani (1869) composto di soli operai, e approvato dal Sant'Uffizio nel 1888.
-
In Inghilterra, il cardinal Manning scende direttamente in piazza per difendere i diritti dei lavoratori irlandesi (1874 e 1889).
-
In Svizzera, attorno a mons. Mermillod, vescovo di Ginevra, si raccoglie verso il 1884 l'Unione di Friburgo, che vede a confronto studiosi cattolici francesi, italiani, tedeschi, austriaci e belgi.
Ormai i cattolici si convincono sempre più dell'insufficienza del sistema caritativo-assistenziale, ma non riescono ancora a trovare una strada univoca per quanto riguarda i tre principali punti di discussione, che animarono gli interventi negli anni precedenti la Rerum Novarum, ossia: l'associazionismo operaio, l'intervento statale, la determinazione del giusto salario.
-
L'associazionismo operaio. Per i più, era impensabile un'associazione professionale composta di soli operai (sindacati semplici), perché si respingeva l'idea che le classi lavoratrici potessero da sole difendere i loro diritti e realizzare le loro aspirazioni; e perché una tale associazione si contrapponeva, logicamente, alle associazioni composte di soli padroni, fomentando così quella lotta di classe auspicata dai socialisti, ma aborrita dal mondo cattolico. In questo modo, prevalse l'idea di associazioni o sindacati misti di operai e padroni, sullo schema delle antiche corporazioni, dove assieme si discutevano i problemi e assieme si trovava una soluzione.
-
L'intervento statale. Su questo punto le posizioni cattoliche furono assai divergenti, soprattutto sui contenuti e le modalità di intervento statale. Nel congresso cattolico diLiegi del 1890 si raggiunse un compromesso: era riconosciuto legittimo l'intervento statale ma solo per regolare gli orari di lavoro, non per determinare il salario.
-
Il giusto salario. Anche in questo campo, le posizioni cattoliche erano divergenti e assai diversificate: da un lato si affermava che la determinazione del salario dipendeva solo dal lavoro (domanda-offerta) e non dai bisogni del lavoratore; dall'altro si affermava che un salario giusto doveva tener conto non solo delle esigenze dell'operaio, ma anche della sua famiglia.
Tutte queste discussioni offrirono a papa Leone XIII un ampio materiale su cui riflettere e prepararono così il suo intervento decisivo, l'enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891.
L'intervento di Leone XIII, che raccoglie il frutto di quasi un cinquantennio di studi, riflessioni e discussioni in ambito cattolico, segna una svolta nella posizione cattolica nei confronti della questione sociale.
L'insegnamento del Papa si può riassumere in quattro punti essenziali:
-
è ribadito il diritto naturale della proprietà privata, ma ne è sottolineata anche la funzione sociale;
-
è attribuito allo Stato il compito di promuovere la prosperità pubblica e privata, con il netto superamento dell'assenteismo statale tipico del liberismo; ma insieme all'azione statale sono posti dei limiti, dovuti al carattere di supplenza del suo intervento;
-
il Papa ricorda agli operai i loro doveri nei confronti degli imprenditori, ma insieme afferma che ad essi, per stretta giustizia, è dovuto un giusto salario che permetta loro un tenore di vita che sia veramente umano, superando così una concezione puramente economica del lavoro;
-
infine il Pontefice condanna la lotta di classe, ma assieme afferma la necessità per i lavoratori di riunirsi per difendere i loro diritti, anche in associazioni formate esclusivamente da operai.
Fu proprio quest'ultimo punto a suscitare le discussioni maggiori: il Papa ammetteva il diritto per gli operai di riunirsi, ma non specificava in alcun modo se le associazioni di soli operai dovevano improntarsi allo stile delle corporazioni già viste nei secoli precedenti o piuttosto ai sindacati moderni.
Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo si sviluppò in ambito cattolico un movimento di pensiero teso al rinnovamento e alla riforma del cattolicesimo. L'intento di questo movimento era di conciliare, quando possibile, la cultura cattolica con le scienze moderne, mettendo fine allo scontro “culturale” tra scienza e fede, stato e chiesa, modernità e tradizione. Gli ambiti privilegiati in cui si muoveva il movimento modernista erano la filosofia, la [teologia] (soprattutto i dogmi), la storia ecclesiastica, l'esegesi biblica, l'ambito sociale.
La diffusione in ambito cattolico di un senso di disagio ed insieme di un bisogno di aggiornamento, presentava tutta una gamma di atteggiamenti e di posizioni, che variavano da un autentico bisogno di riforma, nel rispetto della fede, ad un desiderio di cambiare che andava oltre, fino a raggiungere posizioni eterodosse, lontana da una fede autentica e da un genuino senso di Chiesa. Ed è così che accanto a personaggi autorevoli, desiderosi di una riforma e di un vero aggiornamento della Chiesa cattolica, nella fedeltà a Roma ma insieme nel desiderio di rispondere alle nuove esigenze dei tempi, troviamo anche molti studiosi che, nelle loro speculazioni e nei loro atteggiamenti, finirono per alienarsi le autorità ecclesiastiche fino ad abbandonare la Chiesa o ad esserne esclusi. Tra i maggiori rappresentanti del modernismo, quasi tutti sacerdoti cattolici, si ricordano soprattutto quelli che poi finirono per rompere con la Chiesa: Alfred Loisy, George Tyrrell, Ernesto Buonaiuti, Romolo Murri.
La Santa Sede e Pio X intervennero duramente contro questo movimento, condannarono il modernismo senza distinguere tra posizioni estremiste e ala moderata. Con il decretoLamentabili la Congregazione dell'Indice condannò, nel luglio 1907, 65 proposizioni moderniste, per lo più tratte dalle opere del Loisy. Nel settembre dello stesso anno, Pio X, con l'enciclica Pascendi Dominici Gregis, condanna il modernismo come «la sintesi di tutte le eresie». A novembre, con il Motu Proprio Praestantia Sententiae Pio X comminava lascomunica a chiunque si opponesse all'enciclica. Ed infine, nel 1910, con il Motu Proprio Sacrorum Antistitum il Papa imponeva a tutti i chierici il Giuramento antimodernista, proibendo nei seminari la lettura di qualsiasi giornale.
La relazione tra Nazismo e Cristianesimo può essere descritta solo come complessa e controversa. Ufficialmente il Nazismo si proclamava al di sopra delle confessioni, ma Hitler e gli altri capi nazisti facevano uso del simbolismo e delle emozioni cristiane nel propagandarsi presso il pubblico tedesco (prevalentemente cristiano). Sicuramente Hitler ammirava la forte gerarchizzazione che "...procedeva dal Vaticano fino all'ultima chiesetta nell'angolo più sperduto del mondo".[6] Hitler sosteneva una forma di "cristianesimo positivo", nel qualeGesù Cristo era un ariano, i dogmi tradizionali erano respinti, si accusava la chiesa di avere manipolato il cristianesimo antico gnostico per fini di potere e, in modo simile agli antichi marcioniti si ripudiava l'Antico Testamento. Il suo atteggiamento personale è così descritto da un suo stretto collaboratore:
« Quanto alla lotta contro le Chiese cristiane, egli seguiva l'esempio dell'imperatore Giuliano: perciò si studiava di confutare e demolire con argomenti razionali le dottrine predicate dalle confessioni cristiane, pur riconoscendo esplicitamente l'importanza della religione quale(?) fede in una divina onnipotenza » |
(Conversazioni di Hitler a tavola 1941-1942 [7]) |
Alcuni scrittori cristiani hanno cercato di tipicizzare Hitler come un ateo o un occultista (o persino un satanista), laddove altri hanno enfatizzato l'utilizzo esplicito del linguaggio cristiano da parte del partito nazista, indipendentemente da quale fosse la sua mitologia interna. L'esistenza di un Ministero per gli Affari Ecclesiastici, istituito nel 1935 e guidato da Hanns Kerrl, venne riconosciuta a fatica da ideologi come Alfred Rosenberg, che sosteneva un confuso ritorno alla religione germanica, come pure il comandante in capo (Reichsführer) delle SS e capo della polizia tedesca Heinrich Himmler.
Le relazioni del partito nazista con la Chiesa cattolica sono dibattute. Molti sacerdoti e leader cattolici si opposero apertamente al nazismo sulla base di incompatibilità con lamorale cristiana. La gerarchia cattolica condannò i fondamenti teorici del nazismo con l'enciclica Mit brennender Sorge (1937) di papa Pio XI. Come per molti oppositori politici, numerosi sacerdoti vennero condannati al campo di concentramento e uccisi per le loro posizioni. Il comportamento di papa Pio XII rimane comunque oggetto di una controversia storiografica. Fu al contrario favorevole al nazismo il vescovo Alois Hudal, che cercò un compromesso tra Chiesa e regime.
Con la Riforma protestante la cristianità occidentale si sviluppò secondi tre direttrici principali: il Cattolicesimo romano (nei termini definiti al Concilio di Trento), il Luteranesimo (nei termini definiti nella Confessione augustana e nella Formula di concordia) e il Calvinismo (nei termini definiti nel Catechismo di Heidelberg e nella Confessione di Westminster). Per gran parte del periodo che va dal XVI secolo al XIX secolo il dibattito teologico si svolse principalmente all'interno di queste confessioni — fu il periodo della cosiddetta "teologia confessionale". Nel corso di questi ultimi due secoli la situazione ha subito un notevole mutamento.
La fiducia nel potere della ragione ha avuto i suoi alti e bassi nel mondo moderno, ma la polemica fede/ragione, in varie forme, ha caratterizzato un'epoca in cui sono state messe in discussione tutte le autorità tradizionali, non soltanto quelle cristiane.In modo circoscritto nel Seicento, ma su scala molto più vasta durante il Settecento, il Cristianesimo cominciò a essere messo in discussione in nome della ragione. Con il deismol'attacco prese le forme di una critica al concetto di Divinità e alla religione. Nell'Ottocento l'ateismo e l'agnosticismo (termine coniato da T.H. Huxley nel 1870) divennero per la prima volta parole comuni nell'Occidente cristiano.
Ciò ha comportato, in ambito cattolico, l'arroccamento della Chiesa sulle posizioni del tomismo (neoscolastica), e in generale in ambito cristiano il diffondersi di posizioni ultraortodosse, tese a rifiutare qualsiasi approccio scientifico allo studio della teologia e dei testi biblici, ritenendo ciò una minaccia per la fede.
La scienza moderna spuntò nel XVII secolo su un terreno irrigato dal Cristianesimo.Se da un lato le reali scoperte scientifiche hanno avuto pochissima rilevanza nel confermare o smentire il Cristianesimo, la scienza moderna ha influito su di esso in vari altri modi. Il metodo scientifico comporta la verifica di ogni affermazione e il rifiuto di qualunque autorità che si ponga al di sopra della critica. Avendo riscontrato un enorme successo nel campo della conoscenza, tale metodo ha di conseguenza incoraggiato un atteggiamento analogo anche in campo religioso, con esiti inevitabilmente polemici che ritroviamo ancora fino ad oggi: alcuni consideravano le credenze religiose definitivamente superate dalla conoscenza scientifica, altri negavano le scoperte scientifiche in nome della inerranza biblica (es. oggi i cristiani creazionisti), altri infine intendevano mantenere fede e ragione non sullo stesso piano come antagoniste, ma su piani diversi, per cui esse non si negano vicendevolmente.
La scienza moderna, attraverso le conquiste tecnologiche ha trasformato la vita di miliardi di persone, modificando il senso di dipendenza dell'uomo da Dio. A questo proposito sono famose le parole del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer sul "Dio tappabuchi":
« Per me è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell'incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad allargarsi - il che è oggettivamente inevitabile - con essi anche Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in una continua ritirata. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo; Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte. Questo vale per la relazione tra Dio e la conoscenza scientifica. Ma vale anche per le questioni umane in generale, quelle della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi le cose stanno in modo tale che anche per simili questioni esistono delle risposte umane che possono prescindere completamente da Dio. Gli uomini di fatto vengono a capo di queste domande - e così è stato in ogni tempo - anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il Cristianesimo abbia una soluzione per loro. Per quel che riguarda il concetto di "soluzione", le risposte cristiane sono invece poco (o tanto) cogenti esattamente quanto le altre soluzioni possibili. Anche qui, Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita; Dio vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella sofferenza; nell'agire, e non solamente nel peccato. La ragione di tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo - Egli è il centro della vita, e non è affatto " venuto apposta " per rispondere a questioni irrisolte. » |
(Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e Resa) |
Critica storica [modifica]
Nel XIX secolo si sviluppò la critica storica, cioè, approccio alla storia basato sul rigore scientifico: lo storico critico non ragiona più in termini di autorità, che raramente potrebbero essere messe in discussione, bensì di fonti, che devono essere analizzate e provate per poter essere tenute in considerazione come tali. Questo tipo di metodo è stato applicato anche alla Bibbia, considerata non più come un'autorità da accettare, ma come una fonte da analizzare con strumenti scientifici.
Anche la storia della dottrina cristiana è stata vagliata in modo sistematico, per metterne in luce i cambiamenti verificatisi nel corso dei secoli
All'interno di questo contesto, nel quale non è più necessario che una religione o una confessione per sopravvivere debba combattere le altre, è divenuto praticabile un dialogo tra i credenti di diverse confessioni che in precedenza era molto più difficile. Restano comunque alcune rigidità, rappresentate dalle dottrine che ritengono la laicità delle istituzioni civili un attentato alla propria religione, ritenuta la sola rivelata, vera e infallibile. Questo approccio è presente nell'ambito di diverse denominazioni, cristiane e non cristiane.Nel mondo occidentale la società si fonda su presupposti che prescindono da dottrine religiose: la religione viene considerata una questione di scelta personale; questa evoluzione, ancora in corso e non priva di contraddizioni, nasce in un contesto sociale caratterizzato dal pluralismo culturale e religioso.
Nonostante permangano sostanziali differenze dottrinali tra le diverse confessioni cristiane, i teologi contemporanei si occupano sempre meno di contrasti fra confessioni diverse. Atteggiamenti simili si riscontrano trasversalmente alle denominazioni, unendo talora protestanti e cattolici nel condividere alcune impostazioni (ad esempio, per alcuni l'accento sull'esperienza carismatica, la lettura letteralistica o integralista, il creazionismo ecc., per altri la teologia della liberazione, l'approccio esegetico non integralista, il pacifismo) che non sono invece unanimemente condivise all'interno delle rispettive denominazioni.
Quadro storico [modifica]
Principali rami della cristianitàRistorazionismoAnabattismoProtestantesimoAnglicanesimo"Via Media"(Riti Occidentali)Cattolicesimo(Riti Orientali)OrtodossiaMonofisismoChiesa assira d'OrienteRiforma protestante(XVI secolo)Grande Scisma16 luglio 1054Concilio di Efeso
|