28.08.2012 16:19
Il maremoto (o tsunami) è un anomalo moto ondoso del mare, originato da un terremoto sottomarino o da altri eventi che comportino uno spostamento improvviso di una grande massa d'acqua quali, per esempio, una frana, un'eruzione vulcanica sottomarina o un impatto meteoritico
Di solito un maremoto si genera in mare aperto dove l'onda rimane poco intensa e poco visibile e concentra la sua forza in prossimità della costa quando l'onda si solleva e si riversa più o meno dentro l'entroterra L'intensità di un maremoto dipende dalla quantità di acqua spostata al momento della formazione del maremoto stesso, intensità valutabile quando l'onda raggiunge le coste: in generale un'onda di maremoto che lungo la costa non supera 2,5 m in altezza non provocherà grandi danni e i suoi effetti non saranno pericolosi, mentre un'onda di oltre 4–5 m in altezza sarà distruttiva per la costa investita.
Negli ultimi anni è invalso, in Italia e nel resto del mondo, l'uso del termine giapponese "tsunami" come sinonimo di maremoto (composto di mare e moto sul modello di terremoto). Tale espressione è diffusamente utilizzata dai mezzi di comunicazione e dalla comunità scientifica.
L'evidenza sperimentale suggerisce però che un forte sisma non genera necessariamente un maremoto ed allo stesso tempo sismi della stessa magnitudo non generano necessariamente tsunami della medesima intensità: l'occorrenza del maremoto dipende infatti dalle modalità con cui si modifica/altera il fondale oceanico nei dintorni della faglia, cioè dal tipo di scorrimento della crosta oceanica in corrispondenza della frattura tra placche tettoniche.
Alcuni maremoti possono innescarsi anche se l'epicentro del sisma non è localizzato al di sotto della superficie oceanica bensì nell'entroterra costiero a pochi chilometri dalla costa: generalmente ciò avviene con terremoti di intensità elevata o catastrofica, in grado di produrre comunque grandi spostamenti d'acqua anche ad una certa distanza dal mare per semplice propagazione delle onde sismiche dall'entroterra verso la superficie d'acqua o per il moto dell'intera placca.
Lo spostamento d'acqua prodotto si propaga progressivamente in superficie creando onde superficiali molto lunghe (aventi cioè una lunghezza d'onda tipicamente di qualche centinaia di chilometri) e quindi di lungo periodo (qualche decina di minuti) in condizioni di mare aperto. Per confronto le normali onde marine hanno lunghezze d'onda di pochi metri e un periodo di solo qualche secondo, mentre le onde di tempesta hanno lunghezze al massimo 150 m e periodo di una decina di secondi: la lunghezza, l'estensione e il periodo delle onde di un maremoto sono quindi molto superiori a quelle delle comuni onde marine, da cui il nome di onda lunga, mentre solo l'altezza dei due tipi di onda può essere paragonabile tra loro. Inoltre nelle comuni onde marine solo il volume d'acqua degli strati superficiali dell'oceano è direttamente mosso dal vento, mentre nel maremoto il fenomeno dell'onda coinvolge l'intera colonna d'acqua, dal fondale alla superficie.
In virtù di ciò la pericolosità e la devastazione generata da un'onda di tsunami non dipende quindi dalla sua ampiezza sulla superficie marina, quanto dal volume globale di massa d'acqua interessata dal fenomeno, in quanto trattasi di onda molto estesa in profondità. Per questo motivo la massa d'acqua coinvolta in un'onda di tsunami è enormemente maggiore di una qualunque onda di tempesta. Quest'onda può essere semplificata come fenomeno composto da un inviluppo di onde; la lunghezza d'onda di decine di chilometri si riduce notevolmente nei pressi della costa, dove la riduzione della profondità del fondale non permette più l'"accomodamento" del volume d'acqua lungo un'onda con ampiezza ridotta: in altre parole il mantenimento del moto dell'onda e del volume di acqua coinvolto produce una forte crescita in altezza dell'onda, che non viene in alcun modo fermata dalla linea di costa o da eventuali barriere artificiali, progettate sulle dimensioni delle onde di tempesta, riversandosi pesantemente nell'entroterra costiero.
La forza distruttiva di un maremoto è quindi proporzionale al volume d'acqua sollevato e dunque un terremoto avvenuto in pieno oceano può essere estremamente pericoloso per le zone costiere limitrofe se in grado di sollevare e spostare tutta l'acqua presente al di sopra del fondale marino anche solo di pochi centimetri. Per questo motivo, a parità di magnitudo, terremoti sottomarini che si originano al di sotto di superfici d'acqua profonde, al limite nei pressi di fosse oceaniche, generano tsunami più devastanti rispetto a sismi che si originano sotto superfici marine meno profonde
Quando un maremoto si origina e si propaga nei pressi della linea costiera, lo si definisce locale. Altri maremoti riescono invece a propagarsi per migliaia di chilometri attraversando interi oceani: questi sono generalmente di origine tettonica, poiché gli scivolamenti del terreno in acqua e le esplosioni vulcaniche causano di solito onde di minore lunghezza che si attenuano velocemente. La velocità di propagazione dell'onda di maremoto in alto oceano è elevata, dell'ordine delle centinaia di chilometri orari, potendo raggiungere i 500–1000 km/h, con lunghezze d'onda di centinaia di chilometri e altezze centimetriche poco osservabili se non con particolari e apposite strumentazioni. Possono manifestarsi anche effetti non lineari nella propagazione, con fenomeni anti-dispersivi (propagazione solitonica) e su lunghe distanze l'onda subisce inevitabili, ma lenti fenomeni di attenuazione, che tuttavia non evitano la crescita di ampiezza dell'onda al suo frangimento sulla costa. Se la frattura della crosta terrestre è estesa per decine, centinaia, o anche migliaia di km, tendono a generarsi onde piane che hanno un'attenuazione inferiore alle onde sferiche o circolari: esse sono capaci, quindi, di coprire distanze notevolmente maggiori fino ad attraversare interi oceani
Una volta generata, l'energia dell'onda di maremoto è costante e funzione della sua altezza e velocità, a meno delle attenuazioni sopradette. Come avviene per la comune propagazione ondosa nel mare, quando l'onda si avvicina alla costa incontra un fondale marino sempre più basso e rallenta il suo fronte a causa dell'attrito col fondo oceanico diventando così più corta e, per il principio di conservazione dell'energia, la diminuzione della profondità del fondale di propagazione causa una trasformazione da energia cinetica ad energia potenziale, con sollevamento o crescita in altezza/ampiezza dell'onda (shoaling). In conseguenza di tutto ciò le onde di maremoto in prossimità delle coste rallentano fino a circa 90 km/h con lunghezze d'onda tipiche di vari chilometri, diventando onde alte molti centimetri o addirittura molti metri, fino a raggiungere altezze in alcuni casi anche di decine di metri quando raggiungono la linea costiera.
Nessuna barriera portuale è in grado di contrastare un'onda di questo tipo, che appunto i giapponesi chiamano "onda di porto": i maremoti possono causare dunque gravi distruzioni su coste e isole con perdite di vite umane. Le onde create dal vento, invece, muovono solo le masse d'acqua superficiali, senza coinvolgere i fondali, e si infrangono sulle barriere portuali. Ecco perché anche onde alte diversi metri, perfino una decina di metri (sono numerose sulle coste del Pacifico), provocate dal vento, non trasportano abbastanza acqua da penetrare nell'entroterra. Viceversa un maremoto può rivelarsi devastante, perché la quantità d'acqua che trasporta subito dietro il fronte d'onda gli permette di riversarsi fino a centinaia di metri (talvolta anche per chilometri) nell'entroterra. La penetrazione nell'entroterra è chiaramente facilitata se la superficie è piana e senza barriere naturali come rilievi, colline.
Le zone più a rischio maremoto sono quindi quelle costiere in prossimità di aree sismogeniche, quali quelle presenti vicino ai confini di placche tettoniche dove si registrano i terremoti più forti della Terra: questo corrisponde sostanzialmente all'intera area della cintura di fuoco circumpacifica, su ciascuna costa occidentale ed orientale, e a quella dell'Oceano indiano, meno frequentemente nell'Oceano Atlantico e nel Mar mediterraneo.
- La prima descrizione di un maremoto storicamente accertata è reperibile nella Bibbia, dove si cita il passaggio degli Ebrei attraverso il Mare di Canne (o Mare di Giunco), identificato con un certo margine d'incertezza con l'area dell'attuale Mar Rosso non lungi da Porto Said. L'attraversata degli Ebrei del braccio di mare (una laguna, assai probabilmente) fu favorita, secondo alcuni storici[4], dal ritiro improvviso delle acque indotto dall'esplosione del vulcano sull'isola greca di Thera (attuale Santorini) attorno al 1627 a.C., ed anche il successivo fronte ondoso di ritorno che travolse gli Egizi sarebbe stato conseguenza del medesimo evento.
- Nel 426 a.C., lo storico greco Tucidide descrisse un maremoto, nella sua opera sulla Guerra del Peloponneso, nella quale ipotizzò che fosse stato innescato da un terremoto sottomarino.
- Nel 365 d.C., il maremoto che devastò Alessandria d'Egitto fu descritto dallo storico romano Ammiano Marcellino (Res Gestae 26.10.15-19). La stima delle vittime è approssimativamente di 50.000 morti, questo evento è ripercorso, attraverso la descrizione delle storico romano, in Storia del declino e della caduta dell'Impero romano di Gibbon.
- Il 5 maggio 1202 uno scorrimento nella zona delle faglie del Mediterraneo orientale provocò un maremoto che devastò Grecia, Turchia, Egitto, Sicilia, Siria e Palestina. Dalla documentazione storica si evince che le vittime siano state circa 1.200.000, stima che, se confermata, proietterebbe questo cataclisma al vertice degli eventi catastrofici naturali.
- Il Faro d'Alessandria, costruito in età ellenistica, venne abbattuto dalle onde generate da un maremoto al largo di Creta, nel 1309. Al suo posto, sulla penisola di Rabat el Tin, venne edificato successivamente un forte.
- Le coste italiane e greche, in particolare, furono colpite dai maremoti il 9-11 gennaio 1693 (60.000 morti).
- Da ricordare anche il maremoto che completò la devastazione causata dall'incendio provocato dal terremoto di Lisbona del 1755. L'ondata provocò la morte di almeno 55.000 persone nella capitale lusitana ed almeno altre 10.000 in Marocco.
- In Calabria e in Sicilia ci fu un maremoto nel 1783 che fece 1.500 vittime a Reggio Calabria e 630 a Messina.
- Nel 1883 in Indonesia a seguito dell'eruzione del vulcano Krakatoa si generò un violento maremoto con onde alte 40 m che colpirono le coste di Giava e Sumatra
- Nel 1908 vennero colpite nuovamente Messina e Reggio Calabria.
- Il maremoto con il Run-up maggiore, ovvero la massima altezza raggiunta da un'onda di tsunami, si è verificato in Alaska il 9 luglio del 1958, nella baia chiamata Lituya Bay: l'onda raggiunse l'altezza di 525 metri; sarebbe stata capace di ricoprire abbondantemente il Taipei 101 (Taiwan), uno degli edifici più alti del mondo. Tuttavia lo tsunami di Lituya Bay, classificabile come mega tsunami, non fu uno causato da un terremoto sottomarino, bensì da un gigantesco smottamento di terra: circa 30 milioni di metri cubi di roccia caddero in mare sollevando l'enorme massa d'acqua.
- Un maremoto sconvolse le isole Hawaii in seguito al terribile sisma che, il 22 maggio 1960 funestò il Cile.
- Al largo della costa di Hokkaidō, in Giappone, in conseguenza di un terremoto, il 12 luglio 1993. Come risultato, duecentodue persone sulla piccola isola di Okushiri persero la vita, e altre centinaia furono ferite o disperse.
- Il 26 dicembre 2004 uno tsunami colpì il sud-est dell'Asia e causò almeno 230.000 morti, numerosi feriti e senzatetto.
- Il 17 luglio 2006 uno tsunami colpì le coste di Giava, in Indonesia: 547 persone morirono e 233 rimasero ferite.
- Il 30 settembre 2009 uno tsunami colpì il versante meridionale delle isole Samoa nel Pacifico: il bilancio provvisorio è di oltre 100 vittime.
- Il 25 ottobre 2010 uno tsunami si abbatte nuovamente sull'Indonesia, in seguito ad un terremoto di magnitudo 7.7. Morte più di 300 persone
- L'11 marzo 2011 alcuni tsunami hanno devastato il Giappone e zone limitrofe in seguito ad un terremoto di magnitudo 9.
In Italia
Circa 8000 anni fa un maremoto devastò il mediterraneo interessando le coste della Sicilia orientale, l'Italia meridionale, l'Albania, la Grecia, il Nord Africa dalla Tunisia all'Egitto, spingendosi sino alle coste del vicino Oriente, dalla Palestina, alla Siria ed al Libano.[6] La causa fu lo sprofondamento in mare di una massa di 35 chilometri cubi di materiale, staccatosi dall'Etna, in seguito ad un sisma di eccezionale magnitudo. L'onda iniziale che si generò era alta più di 50 metri e raggiunse le propaggini estreme del Mediterraneo orientale in 3 o 4 ore, viaggiando alla velocità di diverse centinaia di chilometri orari. Tale sconvolgimento determinò la scomparsa improvvisa di numerosi insediamenti costieri di epoca neolitica, come è stato dimostrato dai ritrovamenti archeologici sulle coste di Israele. Lo studio che ha portato alla dimostrazione di questo evento cataclismico è stato condotto dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con finanziamento del Dipartimento di Protezione Civile, nel 2006.
In epoca abbastanza recente varie fonti riferiscono di un maremoto a seguito del Terremoto del Val di Noto, del 1693, quando una gigantesca ondata devastò le coste orientali della Sicilia dopo che il mare si era ritirato di centinaia di metri. In questo caso l'epicentro del sisma si ritiene fosse situato sotto il fondo del mare, una trentina di chilometri, al largo di Augusta.
Il terremoto di Messina del 1908 innescò un maremoto di impressionante violenza che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza. Lo tsunami in questo caso provocò migliaia di vittime, aggravando il bilancio dovuto al terremoto.
Un movimento dell'acqua di dimensioni più contenute si verificò nel dicembre 2002 nel Mar Tirreno. L'onda generata dal crollo in mare di un costone del vulcano Stromboli, alta alcuni metri, distrusse parte delle zone costiere abitate dell'isola di Stromboli causando danni e disagi anche alla navigazione.
Preoccupazioni in tal senso sono state espresse più volte dall'INGV riguardo a possibili eruzioni del vulcano sottomarino Marsili nel Tirreno meridionale in grado di generare potenziali e devastanti tsunami sulle coste tirreniche dell'Italia centro-meridionale.