MAFIA

12.07.2013 23:26

Mafia è un termine con cui ci si riferisce generalmente ad una particolare e specifica tipologia di organizzazione criminale.

Il termine venne inizialmente utilizzato per indicare una organizzazione criminale originaria della Sicilia e con ramificazioni anche negli Stati Uniti, più precisamente definita come Cosa Nostra, parola che divenne pubblica al mondo durante il processo al primo pentito della mafia italoamericana, Joe Valachi. La mafia, seppure sotto diverso nome, compare negli atti giudiziari solo nel 1838, quando il procuratore generale di Trapani, Pietro Ulloa, parla di "unioni e fratellanze, specie di sette" dando un primo quadro agghiacciante delle complicità e delle compiacenze che consentono alla malapianta di crescere: "Non vi è impiegato in Sicilia che non si sia prostrato al cenno di un prepotente o che non abbia pensato a tirar profitto dal suo ufficio…" Sono le "fratellanze che generano la mafia e dettano le prime norme non scritte di un'associazione formata non da "uomini d'onore" perché di questo ancora non si discute ma da "uomini di parola", con una distinzione fin troppo sottile perché semmai prevale qui l'assonanza fra "onore" e "parola".

L'effettiva origine del lemma è ancora oscura. La prima volta che comparve ufficialmente accostato al senso tuttora in uso di organizzazione malavitosa o malavita organizzata è in un rapporto del capo procuratore di Palermo nel 1865Filippo Antonio Gualterio.

Una precedente apparizione in Sicilia si ha due anni prima, nel 1863, nell'opera teatrale I mafiusi de la Vicaria, ambientata nel carcere della Vicaria di Palermo e scritta daGiuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca. Da questa rappresentazione si dovrebbe la diffusione di termini quali mafiaomertà e pizzo in Italia. La presenza di tale vocabolo quindi sarebbe precedente al 1865 e difatti, secondo il Pitrè il termine mafiusu indicava una persona, un oggetto o un ambiente "di spicco" e nell'insieme abbia un non so che di superiore ed elevato (...) Una casetta di popolani ben messa, pulita, ordinata, e che piaccia, è una casa mafiusedda e solo dopo l'inchiesta del procuratore palermitano è obbligata a rappresentare cose cattive. Tuttavia il Pitré non ne chiarisce l'origine.

Si è quindi voluto associare il termine - spesso forzatamente e senza chiari riscontri - con un qualche vocabolo di origine araba, a causa della sua radice non facilmente accostabile a termini di origine invece latina o greca. Tale accostamento alla lingua araba sarebbe giustificato, soprattutto nella storiografia degli anni novanta, con la presenza in Sicilia nel corso del X secolo della componente islamica. Questo ovviamente presupponendo un'ipotetica origine siciliana delle principali organizzazioni di questo tipo. Così secondo Diego Gambetta il vocabolo originario potrebbe provenire dall'arabo مهياص (mahyas = spavalderia, vanto aggressivo) o, come propone il Lo Monaco, مرفوض (marfud = reietto) da cui proverrebbe il termine mafiusu, che nel XIX secolo indicava una persona arrogante, prepotente, ma anche intrepida e fiera

Tuttavia tale origine è messa in discussione dal fatto che non è dimostrato, né attestato l'uso del vocabolo in questione prima della seconda metà del XIX secolo, lasciando quindi 8 secoli di silenzio. In merito a ciò ricordiamo quanto scritto già nel 1853 da Vincenzo Mortillaro nel suo Nuovo dizionario siciliano-italiano per MafiaVoce piemontese introdotta nel resto d'Italia ch'equivale a camorra. Nel 1959, quando il fenomeno era ormai diffuso e aveva già subìto l'evoluzione storica della Seconda Guerra MondialeDomenico Novaccoinvitava ad una lettura critica del passo di Mortillaro, in quanto a suo dire la "boutade" del Mortillaro (...) era emessa nel solco d'un filo autonomistico siciliano antiunitario che dava ai sabaudi il demerito d'aver introdotto nella immacolata isola cattive tradizioni e tendenze paraispaniche

Leonardo Sciascia, in un suo studio apparso nel 1972 su Storia illustrata, ricostruisce con molta attenzione l'origine del termine mafia. Riprende anche la teoria in merito all'introduzione del vocabolo nell'Isola ricondotta all'unificazione del "Regno d'Italia" espressa da Charles Heckethorn ripresa poi dall'economista e sociologo Giuseppe Palomba, il termine «MAFIA» non sarebbe altro che l'acronimo delle parole: «Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti». Fino a che punto sia fondato questo studio, rimane però da considerare il significato antropologico non privo di valore riguardo a un'organizzazione segreta a specchi capovolti che sarebbe nata nell'isola con finalità più o meno carbonare Sempre con un acronimo il giornalista Selwyn Raab tenta di spiegare in un romanzo storico le origini della mafia, riallacciandosi al mito dei Beati Paoli e ai precedenti moti antifrancesi durante i cosiddetti Vespri siciliani come già fece in sede di interrogatorio Tommaso Buscetta, facendone derivare la frase "Morte Alla Francia Italia Anela" Ovviamente appare del tutto inusuale che nel XIII secolo si potesse parlare nel Regno di Sicilia la lingua italiana, al punto da usarla per la realizzazione di un acronimo, costume più sovente delle rivolte popolari e dei moti carbonari del XIX secolo.

Secondo Santi Correnti che pure rigetta le origini del termine dall'arabo, sarebbe un termine piuttosto recente, forse derivato dal dialetto toscano, trovando un riscontro nella parola maffia. Di simile avviso Pasquale Natella che ricorda come a Vicenza e Trento si usasse il vocabolo maffìa per indicare la superbia e la pulizia glottologica (...) va subito applicata in Venezia ove a centinaia di persone deve essere impedito di pronunciare S. Maffìa (...). La diceria copriva, si vede, l'intera penisola e nessuno poteva salvarsi; in tutte le caserme ottocentesche maffìa equivaleva a pavoneggiarsi e copriva il colloquio quotidiano così in Toscana come in Calabria, dove i delinquenti portavano i capelli alla mafiosa.

Sul piano storico e antropologico va comunque osservato che in origine al fenomeno, attecchito sul territorio siciliano, veniva assegnato proprio questo termine esteso poi alle potenti organizzazioni associative a livello mondiale. Rimane comunque il fatto che nell'uso comune il termine mafia è ormai diffuso su larga scala. Per antonomasia e senza qualificazioni si riferisce tuttavia all'organizzazione che ha avuto origine nell'isola come insieme di piccole associazioni sviluppate in ambito agreste. Tali aggregazioni rette dalla legge dell'omertà e del silenzio consolidarono un'immensa potenza in Sicilia e riemersero dopo la seconda guerra mondiale ancora oggi molte persone stanno cercando di eliminare la mafia, e con tutto il vostro aiuto, di tutti voi riusciremo ad uccidere questo mostro che in parte hanno già ucciso Falcone e Borsellino.

La mafia in certi casi adotta comportamenti basati su un modello di economia statale, ma è parallela e sotterranea. L'organizzazione mafiosa trae profitti e vantaggi da numerosi tipi di attività criminali. I capimafia (spesso a causa della latitanza) comunicano principalmente in modo scritto, con i pizzini, poiché non sempre sono in grado di comunicare di persona a tutti i loro sottoposti (capifamigliapicciotti).

Le analisi moderne del fenomeno della mafia la considerano, prima ancora che una organizzazione criminale, una "organizzazione di potere"; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato, in particolare politici, nonché del supporto di certi strati della popolazione. Di conseguenza il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare attività illecite.

Quindi il termine "mafioso" può essere utilizzato nel linguaggio comune per definire, per esempio, un sindaco che dia concessioni edilizie solo ai suoi "amici" o un professore universitario che fa vincere borse di studio a persone anche eventualmente valide ma a lui legate, o la nomina da parte di un governo di altissimi dirigenti anche eventualmente capaci ma "politicamente vicini" alla maggioranza di cui il governo è espressione.

In Italia In Italia il fenomeno mafioso ha assunto diversi caratteri e ha acquistato forme diverse, con strutture e codici seppur simili diversi daregione a regione e talvolta da provincia a provincia. Accade anche che la distribuzione - e relativo controllo - territoriale appaia complesso e in continua evoluzione e talvolta anche singoli quartieri della medesima città conoscano diverse tipologie organizzative. Complice di questo spezzettamento è l'organizzazione a clan delle principali mafie e dei gruppi mafiosi. I clan spesso hanno legami di tipo familiare e questo fa sì che le attività dell'organizzazione rispecchino gli interessi di una determinata famiglia.

In Italia le organizzazioni principali si concentrano soprattutto nel Meridione, dove la diffusione dei gruppi di stampo mafioso è capillare, anche se non mancano organizzazioni simili o colluse con le principali mafie al centro o al nord Italia. Alcune di queste organizzazioni sono storicamente insediate nei rispettivi territori, ma quasi tutti i fenomeni documentati non vanno oltre il XIX secolo. Una singolare prospettiva è quella offerta dalla Camorra, unica vera eccezione, fenomeno malavitoso diffuso in Campania, ma che secondo alcuni autori avrebbe un'origine da ricercarsi altrove Difatti l'uso del termine camorra sarebbe attestato già nel XVII secolo mentre la derivazione etimologica da gamurra ribasserebbe ulteriormente la sua esistenza fino al Medioevo. Dal passo del Mortillaro si può comunque supporre che camorra fosse già sinonimo del termine mafia nella prima metà del XIX secolo e che tale fenomeno dovette essersi esteso anche in Sicilia.

Altre storiche organizzazioni di stampo mafioso sono Cosa nostra in Sicilia e la 'Ndrangheta in Calabria, entrambe però a noi note da documenti esclusivamente a partire dalla seconda metà del XIX secolo e pertanto difficilmente ipotizzabile una loro origine precedente a tale periodo. Da queste due si suppone siano sorte ulteriori organizzazioni di stampo mafioso, quali la Stidda nella Sicilia centro-meridionale (nelle provincie di AgrigentoCaltanissettaEnna e Ragusa) e la Sacra Corona Unita in Puglia (sorta nel 1981 avente tra i fondatori Giuseppe RogoliMario Papalia e Vincenzo Stranieri).

Alle principali organizzazioni si sono accostate negli anni o si accostano ancora diverse organizzazioni assimilabili per certi versi al concetto di mafia seppur in modo del tutto marginale. Quasi tutte queste organizzazioni sorgono a partire dal secondo dopoguerra, ma conoscono in particolar modo il loro apice intorno agli anni 1970. Il clan dei marsigliesioriginario della Corsica e attivo tra Francia e Italia, ad esempio, agì soprattutto tra il 15 aprile 1964 e il 1976 La cosiddetta Banda della Magliana operante nel Lazio ha avuto stretti legami con la mafia e non di rado viene considerata una organizzazione di stampo mafioso operante in detta regione Ancora nel 2012 risulta in attività. InLombardia diverse bande criminali si sono colluse con organizzazioni mafiose o ne hanno assunto l'aspetto. La maggiore di queste bande fu negli anni 1970 quella di Francis Turatello a Milano, mentre ambigua è la posizione della Banda della Comasina, operante anch'essa a Milano, guidata da Renato Vallanzasca Su un modello simile a quello della mala romana e milanese ha agito la cosiddetta Mala del Brenta in Veneto dove a cavallo tra gli anni ottanta e novanta i membri della banda di Felice Maniero favorirono la collaborazione tra le mafie meridionali e la piccola criminalità locale, in particolare garantendo il traffico di droga e armi. La presenza di clan malavitosi nelle regioni del nord Italia, in particolare in Lombardia, è stata definita quale la quinta mafia, capace di sviluppare peculiarità proprie sorta come filiazione dalla 'Ndrangheta, ma fusa col territorio

Sempre negli anni del dopoguerra in Sardegna operava l'Anonima sequestri, tuttavia tale organizzazione, sebbene di stampo criminale e basata su un codice d'onore come gli altri gruppi di stampo mafioso, a differenza delle precedenti non prevede la collusione con gli organi di governo, caratteristica tipica invece di tutte le altre organizzazioni del genere, costituendo di fatto una vera e propria "anomalia" nel panorama della malavita italiana

Stimare i ricavi della criminalità mafiosa è difficile e si scontra con limiti metodologici che nascono dalla mancanza di dati istituzionali. Eppure alcune analisi sono state pubblicate. Sos impresa nel suo XIII rapporto annuale attribuisce alla mafia un giro di affari di 138 miliardi e un utile di 105 miliardi all'anno. Questo studio pecca però di scarsa trasparenza.Guerino Ardizzi, Carmelo Petraglia, Massimiliano Piacenza e Gilberto Turati (Banca d'Italia) hanno invece lavorato adottando metodi econometrici rigorosi e i risulati a cui sono giunti attribuiscono all’economia criminale un valore pari al 10,9 per cento del Pil. Questo lavoro e altri simili hanno costituito la documentazione di base per l’audizione presso la Commissione parlamentare antimafia del vice direttore della Banca d’Italia e la testimonianza ha indotto la Commissione nella sua relazione del 2012 a reiterare la cifra fatidica di 150 miliardi di euro come fatturato delle mafie. I risultati di una recentissima ricerca (Progetto PON Sicurezza 2007-2013 Gli investimenti delle mafie, ministro dell’InternoUniversità Cattolica Sacro Cuore, Transcrime), attraverso una stima condotta utilizzando dati “aperti” o tratti da documenti investigativi ufficiali di carattere nazionale e internazionale, sui ricavi a disposizione delle organizzazioni criminali mafiose, hanno però portato a un drastico ridimensionamento delle cifre prima citate. Infatti, i ricavi ammonterebbero in media all’1,7 per cento del Pil. In particolare, nella ricerca vengono individuati ricavi che variano da un minimo di 18 miliardi a un massimo di 34 miliardi. In sostanza, considerato che il Pil nel 2012 è stato stimato dall’Istat in 1.395.236 milioni di euro (calcolato a prezzi concatenati), la media di ricavi per il 2012 ammonterebbe a 23,7 miliardi di euro.